Cultura

HANEKE MON AMOUR

di Silvia Piccone

È il film dell’anno e parla d’amore. Da quando la giuria del sessantacinquesimo Festival di Cannes, presieduta da Nanni Moretti, ha consegnato l’ambita Palma d’Oro ad Haneke, il suo ultimo film sta vincendo i premi più prestigiosi di ogni festival esistente, avendo sparso senza pietà il suo tragico incanto su un pubblico ed una critica finalmente in accordo una volta per tutte.

Oltre ad aver trionfato agli scorsi European Film Awards di Malta, “Amour” si è aggiudicato diversi riconoscimenti internazionali e nominations d’oltreoceano, tra cui quella come miglior film straniero per gli Independent Spirit Awards che si terranno nel 2013.

Vincono i silenzi in questo film che si apre leggero sulle corde di un amore maturo suonato da un piano perfettamente accordato e si chiude gravemente tra i resti di una malattia che non concede né tempo né perdono.

Si parla di cura, quella di un marito devoto che sogna di guarire la moglie cantando e resta inerme di fronte a labbra serrate e stanche, ormai ammutolite, che vogliono lasciarsi morire di sete, rassegnate all’intima umiliazione della dipendenza.

È la storia di una dolce compagnia trasformatasi in duplice solitudine, destinata a perire negli stantii interni di un appartamento parigino dal quale non ci s’allontana mai. Una gabbia isolata dal modo reale, che offre ospitalità solo ai pochi avventori fedeli che vi inciampano, tra cui la recente Divina Madre di Bellocchio, Isabelle Huppert, indaffarata figlia musicista di Georges ed Anne, qualche volta in visita ai genitori anziani. Genitori a cui hanno prestato i corpi Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva, diretti magistralmente da un Haneke più che romantico e sicuramente assai pensieroso per essersi spinto a trattare un tema talmente delicato e doloroso come quello dell’ultimo “concerto” della vita, talvolta tanto faticoso da meritare un gesto disperato.

Le storie curiose che Georges ha ancora da raccontare all’amata consorte per distrarla dal dolore, si fondono tra il sofferto calvario dell’ammalata e la sua fragile fantasia: “L’immaginazione e la realtà hanno poco in comune” dice Anne in un raro momento di lucidità, ed effettivamente, confesso, nonostante l’estrema tenerezza provata alla vista di questa tredicesima fatica del maestro austriaco, non ho potuto fare a meno di convenire con la dolce protagonista: immaginarsi “Amour” attraverso gli occhi di chi lo racconta, ha poco in comune con la visione reale che si può avere del film, un lavoro dalla sceneggiatura un po’ debole ed un cast potente ma oscurato da un uso ordinario ed a tratti noioso della macchina da presa.

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