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Gushing Prayer: prostituzione e seduzione dal Sol levante

«Bataille dice che il lavoro delle prostitute regola la nostra vita, ma ciò non può regolare l’erotismo della giovinezza.»

Ed è proprio a Bataille che Masao Adachi sembra dedicare questa pellicola del 1971. Visionario sceneggiatore delle maggiori opere del primo Koji Wakamatsu, Adachi con Gushing Prayer impasta un mix di sporcizia, strizzate d’occhio al Cinema di genere ed ispirazione tragica. Si potrebbe citare, ad esempio, un lavoro come il sublime Su su per la seconda volta vergine per avere un’idea del tenore dell’autore. Importato in Italia da Enrico Ghezzi e il suo Fuori Orario, Wakamatsu e Adachi sono i maggiori esponenti del versante più autoriale del Cinema di genere giapponese. Film politici, erotici e gangster movie strabordano in sincretismi rocamboleschi tra crudezza e ricerca stilistica. Già regista d’interessanti lavori come Ryakushô Renzoku Shasatsuma, documentario “ambientale” sulla vita di un serial killer giapponese, Adachi si presenta da solista alla cinepresa per uno dei suoi massimi componimenti.

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Come nella Storia dell’occhio del sopracitato Bataille, ci troviamo di fronte a una vicenda adolescenziale carica di forte tensione drammatica. Il sesso vissuto e incorporato in una freddezza esistenziale, fatta di trasgressione e senso di vuoto condisce le vicende del gruppo di giovani scolari, protagonisti della narrazione. La loro missione? Sì, è comico dirlo: sconfiggere il sesso. Convinti della necissità di fare un connubio fra corpo e mente, l’eretica del gruppo, una quindicenne, decide di avventurarsi in un cammino di annichilimento della sessualità stessa vivendola come pura corporeità. Gli altri, accarezzati e affascinati da tale progetto, ne divetano complici, spingendo la ragazzina a prostituirsi. Freddo e tagliente come una lama, Funshutsu Kigan: 15-Sai no Baishunfu (titolo originale della pellicola) mette in piedi una storia sporca, fatta di seduzione dei professori, rapidi e fugaci incontri con altri adolescenti, e gravidanze indesiderate, nel folle precipitare della protagonista in questo turbinio. Come nel miglior Bataille, si pensi anche a L’azzurro del cielo, pulsione di morte ed Eros si intrecciano in una spirale pronta a fiorire nel finale, che vi lascio scroprire.

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Stilisticamente il film si esprime in varie forme: le tinte fosche degli esterni, del cielo plumbeo e nuvoloso, lasciano lo spazio a un esplosione verso il colore. Passando agilmente tra bianco e nero, e i filtri colorati di stampo espressionista, la pellicola si dimostra vivace, in grado di colpire lo spettatore. Le sequenze di corpi immarsi nel coito, l’interesse per la corporeità, l’angustia degli interni, la deformazione dell’immagine secondo varie angolature, le voci riverberate nell’eco di un parco: sono tutte espressioni della poetica registica di Adachi. In sintesi, per quanto molte scelte siano ereditate dallo storico collaboratore, Wakamatsu, l’opera non manca di raffinatezza, particolare che, di per sé, la eleva oltre la media di un Cinema generico e preconfezionato.

vlcsnap-2017-11-20-14h47m19s122Infine, per approfondire Adachi e la sua riflessione estetica, non voglio mancare di consigliarvi il documentario di Philippe Grandrieux: Il se peut que la beauté ait renforcé notre résolution, interessantissima intervista ad Adachi, mediata dalla camera impressionista dell’autore francese.

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