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Esclusivo/ Good Bye Gheddafi

“God save the tweeps”:  intervista esclusiva con una giovane voce Libica

di Federica Mordini

 

Qualsiasi media si passi in rassegna, il volto insanguinato e tumefatto di Gheddafi buca lo schermo e le pagine. Gheddafi è stato ucciso ieri da un giovane ribelle, che ora sventola in aria l’inseparabile pistola d’oro del Rais, come prova della fine di un’era, dorata solo per lui: Muammar il Colonnello. Non è difficile intuire cosa pensino i libici dell’accaduto, viste le folle in giubilo immortalate dalle telecamere nazionali e internazionali. Eppure la curiosità di scoprire i pensieri e le emozioni  di qualcuno che ha vissuto questo calvario quasi infinito rimane. Ed ecco che un semplice tweet  esaudisce il desiderio.

Spulciando nei meandri di hashtags, menzioni, tweets e tweeps trovo lei, Dania, che alla mia richiesta di intervista risponde “Of course”. L’appuntamento è alle 17 su Skype. Scopro che Dania vive a Tripoli, ha 17 anni (tre in meno rispetto all’esecutore di Gheddafi), una passione sfrenata per la lettura, e che ha intenzione di proseguire gli studi in Ingegneria all’Università di Tripoli, anche se non sa bene cosa farà da grande. Per ora si occupa di volontariato, aiuta a raccogliere fondi da destinare ai feriti e alle persone che si trovano in difficoltà.

 

 

La comunicazione è disturbata, Dania usufruisce della connessione free messa a disposizione della Libia intera dopo la morte di Gheddafi. Prima solo un black-out mediatico e non solo. “ Everything was in the dark. L’educazione, l’economia, la cultura… nel paese tutto andava male e tutti odiavano Gheddafi – afferma Dania – a parte quei pochi che ricoprivano posizioni di prestigio o che la pensavano come lui”. E il senso di oppressione? ”Insopportabile”. Eppure molti sono stati i tentativi di far apparire la realtà come ordinaria, a partire “ dai negozi che all’inizio erano costretti a restare aperti tutto il giorno, dalle 8 alle 22, così come le scuole”.

Le domando se quella che ha invaso la Libia si può ancora definire rivoluzione dopo l’intervento della Nato e gli interessi mal celati della Francia. “Si dovrebbe chiamare guerra civile? E’ stata una rivoluzione portata avanti da giovani che hanno creduto e abbracciato la causa. Anche i miei vicini, i miei parenti e i miei amici sono andati al fronte. Non c’è stata un’invasione come in Iraq, le forze Nato non hanno toccato il suolo libico e Gheddafi è stato ucciso dallo stesso popolo che ha oppresso”. Le immagini frenetiche della sua cattura e del suo cadavere hanno fatto il giro del mondo, ma lo hanno anche scosso. E’ giusto che sia morto senza affrontare un processo? “Sì, penso che rendere conto di ciò che ha fatto di fronte a Dio sia sufficiente. Anche se, certo, avrebbe aiutato a scoprire tutto il marcio dietro il suo regime” . Compito che, se verranno confermate le voci della sua cattura, spetterà al figlio Seif,il delfino.

Il peggio, però, è passato e Dania si mostra ottimista per il futuro del suo paese: “Credo in una transizione democratica. La vera jihad (missione)è  costruire una Libia migliore, rafforzando soprattutto l’istruzione, ma non islamizzata. Non deve diventare come l’Iran”. Infine scorgo la saggezza e la modernità della gioventù libica, che il Rais peraltro ha sempre negato ”La divisione tribale del paese non è così importante come veniva dipinta dal Colonnello e dai media, era solo un modo per screditare il paese agli occhi del mondo”. E l’Italia? “ I rapporti tra Gheddafi e Berlusconi erano solo diplomatici, per il resto gli italiani erano dipinti come  invasori sanguinari, ma il passato è passato e spero che tra il mio paese e il tuo si stabiliscano rapporti sani”. I dubbi sul futuro del paese non mancano, le auguro comunque buona fortuna. Infondo se anche la metà dei giovani possiede l’ottimismo della giovane Dania , non può essere che roseo.

 

Ndr. Sul blog della nostra redattrice è possibile trovare la versione inglese, lingua in cui è avvenuta l’intervista.

For international users. On our editor’s blog you can find the english version of the interview.

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