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1 Dicembre: l’HIV non si prende con un bacio

Oggi, 1 Dicembre, è la giornata mondiale della lotta contro l’AIDS. Una malattia di cui si sente parlare sempre meno, come fosse scomparsa. Invece l’HIV è un problema assolutamente attuale e può colpire chiunque, a prescindere dalle sue abitudini.
Questa giornata ha lo scopo di rendere tutti consapevoli su come proteggersi dal virus e sull’importanza di effettuare periodicamente i test di controllo assieme agli esami del sangue di routine. Ma non è tutto qui. L’1 Dicembre vuole anche insegnare a difendersi dalla disinformazione che aleggia attorno all’HIV, spesso causa di ulteriori contagi e gravissime discriminazioni nei confronti dei positivi.
E quale miglior modo di informarsi se non approfondendo la sua storia?

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1991: l’immunologo Fernando Aiuti bacia una sua paziente sieropositiva, in risposta all’articolo di un quotidiano che riportava la falsa teoria che l’HIV si potesse trasmettere con un bacio.

La sindrome da immunodeficienza acquisita, più comunemente conosciuta come AIDS, è stata riconosciuta per la prima volta il 5 giugno 1981 in seguito all’individuazione di diversi casi di polmonite da Pneumocystis carinii (un fungo patogeno opportunista che dà origine alla malattia solo in soggetti immunodepressi) a Los Angeles.
Inizialmente, questa patologia venne chiamata “Malattia 4H” dalle iniziali inglesi dei gruppi a cui era esclusivamente attribuita: omosessuali, haitiani, eroinomani ed emofiliaci (homosexuals, haitians, heroin addicts, hemophiliacs).
Tuttavia già in precedenza la stampa aveva coniato il termine GRID, Gay-related immune deficiency, per riferirsi all’AIDS come patologia riguardante esclusivamente gli omosessuali. Fu solo verso la fine del 1982 che venne creato il termine “AIDS”, una volta compreso che fosse una malattia contraibile da chiunque, senza distinzioni di orientamento sessuale, provenienza o estrazione sociale. Il virus HIV, che se non curato causa l’AIDS, venne isolato per la prima volta nel 1983 all’Istituto Pasteur di Parigi da Françoise Barré-Sinoussi e Luc Montagnier, che per questa scoperta vinsero il Nobel per la medicina nel 2008.

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New York, 1987: attivisti di Act Up chiedono una ricerca sull’HIV, ancora considerata dall’opinione pubblica “la malattia dei gay”.
(Foto via NBC News)

Ma cosa sono l’AIDS e l’HIV?
L’AIDS è una malattia del sistema immunitario umano causata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV). Quest’ultimo, distruggendo i
linfociti CD4 responsabili del funzionamento del sistema immunitario, dà origine a infezioni croniche che se non correttamente curate possono avere esito fatale. Siamo attualmente a conoscenza di due differenti ceppi: l’HIV-1, diffuso in Europa, America ed Africa centrale e l’HIV-2 diffuso in Africa occidentale. Entrambi i ceppi si trasmettono allo stesso modo, ovvero prevalentemente tramite rapporti sessuali non protetti, scambio di siringhe e con il contagio verticale dalle madri ai figli.
Negli anni ’80 si verificarono diversi contagi dovuti a trasfusioni di sangue infetto, rischio ormai debellato grazie agli accurati controlli a cui sono sottoposte le sacche prelevate dai donatori.

Il contagio in Italia e nel Mondo
In Italia sono state registrate, tra il 2018 e il 31 maggio 2019, 2847 diagnosi di infezione da HIV. Il nostro paese, in termini di incidenza delle nuove diagnosi, si colloca lievemente al di sotto della media dei Paesi dell’Unione Europea (5,1 casi per 100.000 residenti). La fascia d’età più colpita è quella tra i 25 e i 29 anni e ben l’80,2% dei casi hanno origine a causa di rapporti sessuali non protetti, sia eterosessuali che omosessuali. Le regioni con l’incidenza maggiore nel 2018 sono risultate essere Toscana, Lazio e Liguria, mentre l’età media alla diagnosi è di 39 anni per i maschi e 38 anni per le femmine. Inoltre in Italia, secondo l’ISS, il 57,1% delle nuove diagnosi di Hiv sono state diagnosticata in fase avanzata di malattia, cioè quando il virus può già aver danneggiato l’organismo.
Nel 2018 sono stati 26mila in nuovi casi di HIV nell’Unione Europea, con un picco di diagnosi in Lettonia e Malta (rispettivamente il 16,9 e il 15,3 di casi positivi ogni 100mila abitanti). Nell’Unione Europea ci sono state 3.235 nuove diagnosi di AIDS, di cui la maggior parte avvenute in concomitanza con la diagnosi di positività all’HIV. Nel mondo, ad oggi si contano 37,9 milioni di persone che convivono con il virus, e di queste circa 24,5 milioni hanno accesso alle terapie antiretrovirali.

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Washington, 1987: malati di AIDS protestano contro la scarsa attenzione del governo.
(Foto via Bettmann archive / Getty Images)

L’evoluzione delle terapie
La prima terapia salvavita venne introdotta nel 1996, con l’avvento della Haart (Highly Active Anti-Retroviral Therapy) che in soli due anni fece ridurre il tasso di mortalità dell’84%. Successivamente tra il 1996 e il 2006 vennero introdotte le prime combinazioni di farmaci con lo scopo di migliorare l’aderenza alla terapia, dato che un paziente in Haart poteva dover assumere anche 30 pastiglie al giorno.
La svolta si ebbe proprio nel 2006, con l’introduzione della prima tripla
combinazione di farmaci antiretrovirali in un’unica compressa e a singola somministrazione giornaliera.

E’ inoltre importante menzionare la PrEp (profilassi pre-esposizione) e la PeP (profilassi post-esposizione). La prima consiste nell’assunzione continuata di un farmaco che previene l’infezione da HIV, utile sopratutto per chi ha frequentemente comportamenti a rischio.
Per quanto riguarda la PeP, è estremamente utile nel caso in cui avvenga un comportamento a rischio, come l’esposizione a sangue infetto, rapporti sessuali non protetti o anche la semplice rottura di un preservativo. In questo caso è importante recarsi in ospedale e richiedere la profilassi post esposizione entro 48 ore dall’evento, in modo da diminuire vertiginosamente la probabilità di contagio. La PeP consiste nell’assunzione di specifici farmaci per 4 settimane, un piccolo impegno se comparato al rischio di contrarre l’HIV.
Attualmente la ricerca si muove in diverse direzioni: da una parte si cerca di diminuire sempre di più la tossicità dei farmaci che vanno assunti per tutta la vita, dall’altra si cerca da anni una cura funzionale ed un vaccino che tuttavia tardano ad arrivare. Ora l’HIV è un virus definito “cronico” poiché si è in grado di tenerlo sotto controllo e, se adeguatamente curato, non evolve in AIDS, rendendo le aspettative di vita di chi ne è affetto del tutto simili a chi è negativo.

Discriminazione e aspetti psicologici
Tuttavia, non è solo l’ambito strettamente medico a preoccupare chi scopre di essere positivo all’HIV. Di grande importanza è l’aspetto psicologico e il pregiudizio della società a cui si va spesso incontro. Sono ancora molte le persone ad attribuire questo virus ad omosessuali e drogati, oppure ad identificare come modalità di trasmissione anche abbracci o strette di mano, ovviamente totalmente innocui. Secondo i dati della ricerca “QuestionAids: HIV e Stigma in Italia” del 2015, il 32% delle persone con Hiv intervistate ha dichiarato di essere stata vittima di episodi discriminatori a causa dello stato sierologico, in particolare in ambito sanitario. Vengono riportati in particolari casi di violazione della privacy (44%) e del rifiuto di erogazione di un servizio sanitario (35%). Nel 13% dei casi invece la discriminazione è avvenuta nell’ambito lavorativo: è stato negato il posto di lavoro a causa della seriopositività, pratica illegale in Italia. Il 40% afferma di non aver rivelato il proprio stato sierologico ai familiari, principalmente per evitare loro una sofferenza.

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Botswana, 2003: Kgalalelo Ntsepe, malata di HIV e attivista contro la discriminazione dei sieropostivi.
(Foto di Sönke C. Weiss per World Vision)

Molta è ancora la disinformazione sull’HIV, lo dimostrano i dati del LILAReport 2018 (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS): quasi il 52% dei ragazzi intervistati ha avuto rapporti sessuali non protetti e solo il 67% degli studenti sa che solo il profilattico e il femidom (profilattico femminile) sono gli unici contraccettivi in grado di evitare la trasmissione dell’HIV e di molte infezioni sessualmente trasmissibili.
È dunque auspicabile una più efficace campagna di prevenzione e informazione volta ad abbattere le discriminazioni e raggiungere l’obiettivo lanciato dall’OMS di porre fine all’epidemia entro il 2030.

(La foto in copertina è di Barbara Alper per Getty Images)

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