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Giornalisti all’ (a)Vanguard: il ritorno al giornalismo di strada/sul pezzo/nei fatti

di Marta Mangiarotti, Giacomo Onorati e Alberto Scaravaggi

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Durante la trasferta di redazione a Perugia non abbiamo mai visto la sala conferenze dell’Hotel Brufani così piena. È stato persino installato uno schermo nello spazio antistante, così che tutti potessero seguire l’incontro con i Vanguard Journalists, cinque giovani reporter globetrotter, considerati l’ esempio di un giornalismo al passo coi tempi.
Vanguard è un programma televisivo in onda su Current, network interattivo fondato da Al Gore e basato sull’integrazione tra radio, internet e televisione (trasmesso in Italia da Sky).
Le tematiche sono calde: l’immigrazione negli Usa, l’impatto delle nuove tecnologie nella società giapponese, il neonazismo in Russia ed i metodi di tortura dell’esercito americano. Il tutto realizzato tramite dinamiche inchieste sul posto, in cui i reporter vivono esperienze in prima persona, vivendone le sensazioni e talvolta i rischi. Un esempio è Kaj Larsen, reporter con un passato nei Marines, che si è volontariamente sottoposto a prove di tortura come il water boarding, oppure Laura Ling, assente da Perugia perché trattenuta dalle autorità nordcoreane, accusata di aver attraversato irregolarmente il confine del paese più isolato del mondo. Chi è partito da un modello “classico” di giornalismo è Adam Yamaguchi, che si è detto fiducioso nelle potenzialità dei nuovi media e nella capacità di comunicare alle nuove generazioni con un linguaggio fresco e attuale.

Inchiostro: Ci vuole molta passione per passare dal giornalismo tradizionale a questo nuovo modo di raccontare la notizia. Di questi tempi il giornalismo è molto “vecchia maniera”, in Italia ancor più che in America. Come può questo questo tipo di giornalismo avvicinarsi al nuovo modo?

Adam Yamaguchi: Penso che dipenderà molto dai giovani. Il settore dei media è molto conservatore, hanno un certo modo di operare, sia in Italia che negli Stati Uniti e continueranno in quella direzione finché potranno. Sono cresciuto guardando i tradizionali programmi d’informazione e pensavo che non stessero davvero “parlando” a me, non mi interessavano. Ho poi lavorato per i telegiornali tradizionali e mi hanno annoiato. Pensavo che, sebbene fossi giovane, non stessi comunicando con le nuove generazioni in una maniera interessante per loro, perché lì devi per forza parlare in un certo modo e questo non faceva per me. Per la prima volta abbiamo trovato in Current uno spazio in cui le idee si incontrano e questo non era mai successo. Non posso predire il futuro dei media, posso solo sperare che i giovani non interessati al modo di fare tradizionale vengano in posti come Current e sottopongano i loro lavoro. Il bello di Current è che avete il potere creare i vostri documentari e vederne altri e spero che sempre più giovani possano seguirci.

Pensi che questi nuovi tipi di marketing possano davvero attrarre i giovani nel seguire i programmi d’informazione o è solo semplice pubblicità?

Penso che sia un modo per interessare la gente ai temi proposti. In qualsiasi caso ciò che noi facciamo è giornalismo. Quello che io e i miei colleghi vogliamo fare è raccontare storie importanti e questo è solo un modo nuovo e più interessante di avvicinarsi a quelle persone che sono interessate a cosa accade nel mondo ma non hanno ancora trovato il loro modo d’informarsi.

Recentemente a Londra si è tenuto l’incontro dei rappresentanti delle venti maggiori potenze mondiali, il G20. Cosa ne pensi dei rapporti sino-giapponesi negli ultimi tempi?

Come sapete, le relazioni tra i due paesi sono state molto burrascose negli ultimi due secoli e penso che, con l’attuale economia globale, il mondo non sia mai stato così picccolo. Cina e Giappone hanno ancora rapporti difficili, ma la verità è che le loro  economie sono dipendenti l’una dall’altra. C’è quindi un rinnovato interesse verso nuovi modi di collaborazione economica e partnership. Nel bene o nel male le varie economie sono ormai legate in una condizione di dipendenza.

Parlando di soldi, chi è che paga per tutti questi gadgets e per il fantastico marketing? Avete finanziamenti da Al Gore oppure da Sky?

Siamo distribuiti in oltre sessanta milioni di case, negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Italia. I soldi li prendiamo dalla pubblicità: gli inserzionisti contattano il network. E poi, come sapete, c’è Sky e le televisioni via cavo che trasmettono Current in America, che essenzialmente pagano in modo da permetterci di realizzare i nostri programmi. Ecco da dove prendiamo i soldi.

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