Attualità

Generazione zero

di un rivoluzionario apatico

Siamo la generazione nata con lo smarthphone nella tasca destra e le opportunità nella tasca sinistra, peccato che ce la siamo cucita. La crisi economica e le crescenti disparità sociali certamente sono ago e filo, ma è la nostra apatia la mano che ha concluso il lavoro.

Accontentarsi è il mantra che si ripete nelle nostre menti, in loop, come una preghiera: l’estrema unzione del riscatto sociale; siamo la generazione che ambisce al massimo a guadagnare come i propri genitori, quando invece per loro l’obiettivo era di riscattare lo status dei nostri nonni; siamo figli di dirigenti, nipoti di operai che fanno i camerieri sottopagati piangendosi addosso.

Da dove sono partite le grandi rivoluzioni culturali degli anni ’60 e ’70? Dalle scuole e dalle università, dove le “nuove” menti si riunivano, confrontavano le proprie idee con lo sguardo fisso al futuro. Studiare era sinonimo di riscatto, si studiava con l’ambizione che scorreva nelle vene e con la voglia di mangiarsi il mondo. Per la nostra generazione studiare è quasi un obbligo: seguire un solco già scavato dai nostri genitori, una conca dove accomodarsi o dove fluire come un ruscello con argini e percorso già stabiliti.

Sto generalizzando, lo so: chiaramente non siamo tutti figli della medio-alta borghesia e non siamo tutti nati nella bambagia, ma sembra che chi non abbia avuto questa fortuna la voglia solo invidiare, provando a mimetizzarsi, fingendo benessere ma senza quasi mai provare a raggiungerla, per far si che i propri figli abbiano queste fortune.

Il dibattito politico sta progressivamente scomparendo ad ogni nuova generazione che si affaccia al mondo dei “grandi”, quel poco che rimane è stato traslato nel mondo dei social network, smorzando ancor di più la già fioca luce della coscienza sociale, svilendo e abbassando ancor di più il livello dei contenuti. Si discute da più di un decennio di allontanamento del popolo dalla politica, di invecchiamento della classe dirigente, dando tutta la colpa agli anziani signorotti attaccati alla poltrona e ai “poteri forti”, che tengono tutte le ricchezze per loro. E questa è più che una mezza verità. Dall’altro lato, però, c’è una generazione che avrebbe tutti gli strumenti per ribaltare la partita, ma che sta troppo comoda per alzarsi e combattere; non ha un obiettivo per cui lottare perché ha in mano tutto quello che gli serve; i comfort delle società occidentali sono i palliativi per il malessere sociale che stiamo vivendo e che stiamo sistematicamente rifiutando di combattere. Stiamo lasciando in mano il futuro a chi il futuro non lo vedrà.

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