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Gay è OK. Ma non dirlo in Russia

Il mondo unito nello sport, ma a Sochi 2014 qualcosa non torna. Olimpiade insolita a giudicare dalle immagini postate su Twitter e Facebook dagli atleti in trasferta, e non solo per i bagni in comune: 87 i Paesi presenti all’appello – che se la Russia puntava a il primo posto sul podio del medagliere l’impresa sarà sicuramente meno ardua. Dal presidente Obama a Francois Hollande, Angela Merkel e David Cameron, tutti assenti con giustificazione. Noi ci siamo, ma per difendere i diritti di chi è stato privato della libertà di amare senza pregiudizi.

Se nel resto del mondo i passi avanti sono da gigante, il governo di Mosca (e la storia lo conferma) ha sempre preferito la strada conservatrice e del controllo ossessivo, soprattutto quando si parla di sessualità. Uniti nello sport, sì. A patto che tu non sia omosessuale, o che almeno non lo urli al mondo.

Le prime leggi russe omofobe risalgono al 1700. Poi nel 1933 le autorità sovietiche dichiararono illegali le relazioni tra gli uomini e qualsiasi forma di propaganda omosessuale – concerti, eventi, cortei, sfilate – in tutti i Paesi della Federazione. Reato, secondo l’articolo 121 del codice penale sovietico, esprimere in pubblico opinioni sulla questione omosessuale in presenza di minori, pena la detenzione fino a 5 anni. Poi c’è stata la Rivoluzione. La Seconda Guerra mondiale. Un Papa si è dimesso. In 39 Paesi viene riconosciuto alle coppie omosessuali il diritto di sposarsi. La Terra continua a girare, il tempo passa, il mondo cambia. La Russia no.
Ignoranza e pregiudizio di quasi i due terzi della popolazione russa che ancora oggi parla di gay “malati” e “alieni della società”: un’“omofobia di Stato” a soli vent’anni dalla cancellazione dell’omosessualità dall’elenco dei reati penali, con la scusa questa volta di voler tutelare i minori per salvaguardarne integrità e valori. «La Russia ha un problema demografico, io ho il dovere di occuparmi dei diritti delle coppie che generano prole». È di dovere che parla il presidente Putin appoggiato all’unanimità da governo, Chiesa ortodossa e gran parte (65%) della popolazione russa. Proteggere i giovani da «certi discorsi» e «certe immagini scandalose».
Istituzionalizzazione dell’omofobia. Come quando per uno sguardo alla persona del sesso “sbagliato” ti ritrovavi cucito, sul pigiama del lager, un triangolo rosa.
Isolamento, offese, vessazioni. E se prima le multe si pagavano per l’auto in divieto di sosta o per una corsa in metro senza biglietto, può arrivare a 15.000 € quella per “azioni pubbliche mirate a promuovere la sodomia, il lesbismo, la bisessualità e il trasgender tra i minori”. Come in Liberia, India e in altri 78 Paesi, la superpotenza Russa sceglie (ancora) la strada del proibizionismo, arrestando e multando giovani amanti (omosessuali) davanti alla Duma. “Una legge medievale che gioca sull’ignoranza di una popolazione ancora dominata da pregiudizi”.

Il tweet di Luxuria. In basso a destra l’ “opzione Putin”

E poi c’è l’Italia, che tra crisi, scandali e tanti buoni motivi per cui vergognarsi fa – di rado e con tanta fatica –  da antesignana. Come nel 2006, primo Paese europeo ad avere in Parlamento un deputato transgender:  Wladimiro Guadagno, anche conosciuto con il nome di Vladimir Luxuria che, “Iena” per un giorno, si è recata a Sochi con l’obiettivo di sventolare fiera la bandiera arcobaleno durante una partita di hockey. «Sono a Sochi! Saluti con i colori della rainbow, alla faccia di Putin» aveva twittato approdata in terra sovietica. Neanche il tempo di dire «Gay è OK» che l’Unità di crisi della Farnesina è costretta ad attivarsi per il fermo dell’ex parlamentare. «Le persone LGBT sono le benvenute a Sochi, a patto di non fare propaganda omosessuale presso i bambini» aveva dichiarato il premier russo: le ultime parole famose.
Una provocazione più che una protesta, un lungo colloquio più che un arresto, ha visto Luxuria libera in poche ore, pronta a continuare la sua crociata anti-omofobia ma senza messaggi espliciti. Imbarazzo per gli organizzatori olimpici, poco fastidio per l’omonimo Putin, il quale ha tentato, dall’inizio dei giochi, di dirottare l’attenzione sull’evento sportivo sorvolando sul rifiuto di partecipare alla cerimonia di apertura dei giochi, del presidente americano e degli altri leader assenti. Strategia da quattro soldi, nella scelta di farsi fotografare in casa Olanda con la medagliata Ireen Wust, e in casa America  la cui delegazione è provocatoriamente rappresentata da tre omosessuali.

«Le Olimpiadi dimostrano il potere dello sport di riunire gli individui senza distinzione di età, razza, classe, religione, capacità, sesso, orientamento sessuale o identità di genere»: un messaggio forte e chiaro quello del segretario ONU  Ban Ki-Moon al Comitato Olimpico Internazionale. Portiamo pazienza, quindi, per chi ancora non si è arreso all’idea che al cuor non si comanda. In una Russia dove sì, puoi essere gay.
Ma non dirlo troppo ad alta voce, un minore potrebbe sentirti.

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