Galeotta fu Trenord… e chi la creò!
Ieri sera mi è successo qualcosa di singolare. Tornavo a casa in treno (che novità!) e, accingendomi a trascorrere le due ore seguenti tra una finta lettura di Comunicazione Politica e la contemplazione di un bell’Adone seduto davanti a me, mi sono ritrovata a fare da spettatrice ad un impacciatissimo tentativo di socializzazione tra due sconosciuti che improvvisamente ed inspiegabilmente si sono messi a chiacchierare del più e del meno come se si conoscessero da anni.
Un olivastro ragazzo del Sud lui, la tipica studentessa modello, topo di biblioteca nordica lei. Una di quelle coppie da film, che si incontrano per la prima volta nella biblioteca di una pseudo università “alla Harvard” (fingiamo che sia l’UniPv), lui le raccoglie il libro che sbadatamente (o maliziosamente) lei ha fatto cadere; sboccia l’amore e un mese dopo, a seguito delle tipiche cavalleresche avventure all’americana, si sposano in una bella villa di Beverly Hills (o, perché no, magari di Pavia). Beh, perdonate la digressione, ma in ogni caso, non è andata proprio così…La location era un po’ diversa, nessun libro a terra, lui le ha offerto un mandarino (che galantuomo) e lei ha rifiutato (ovviamente, peccato non fosse una vera attrice americana); hanno parlato di vacanze, università, cuccioli di foca e poi, all’altezza di Milano Rogoredo si sono salutati ringraziandosi a vicenda per la piacevole chiacchierata. Voi direte, tutto qui? Insomma niente di speciale, nessun bacio romantico schioccato sotto a un suggestivo rametto di vischio spuntato a caso all’uscita della carrozza, nessuna rincorsa per fermarla all’uscita, nessuna promessa di un incontro futuro. Niente di tutto ciò. Eppure questa circostanza mi ha colpito particolarmente.
Se ci pensiamo bene, infatti, molto spesso siamo talmente concentrati sulle nostre sventure, sui nostri problemi che quando andiamo in giro guardiamo per terra, evitiamo il contatto visivo con altri “esseri viventi”, marciamo a passo di soldato facendo lo slalom tra chi è fermo per strada a scambiare invece una parola. Ancora peggio la situazione in treno: il cosiddetto pendolare “imbruttito” (prototipo del milanese DOC) non guarda in faccia a nessuno; esistono solo i suoi tre cellulari dual SIM con cui fissa appuntamenti, organizza feste, ordina la cena al take away; il tutto nell’arco del viaggio, mentre mangia un cornetto e sfoglia il quotidiano.
Come direbbero con un linguaggio più corretto i migliori sociologi, la nostra è una società votata all’ iper individualismo: teniamo conto delle nostre esigenze e delle nostre ambizioni, ma non di quelle degli altri; ci fingiamo dei “bon viveur “esperti nell’arte della convivialità e poi non ci abbassiamo nemmeno ad intrattenere un’elementare conversazione con uno sciagurato che si trova nella nostra stessa barca perché “il treno è in ritardo solo per noi”.
Eppure nonostante questa inevitabile verità, ogni tanto si trova ancora qualcuno che si lancia controcorrente e allora azzarda un sorriso, poi un saluto e magari anche un “Piacere sono…”
Non di rado capita di commuoversi davanti al tentativo di alcuni simpatici vecchietti di attaccare bottone con un giovane studente indaffarato seduto a fianco; si inizia magari parlando del tempo e di studi e si finisce con lo scoprire informazioni meravigliose sulla vita di quelle persone : racconti sulla guerra, la vita di una volta, insomma quelle storie trite e ritrite che avremo ascoltato mille mila volte dai nostri nonni , ma che, ammettiamolo, non ci stancano mai e hanno ancora il potere di incantarci.
Perché diciamo la verità, a tutti noi piace parlare e soprattutto siamo dei maestri nel condividere con gli altri i nostri problemi, i nostri pensieri (sì, dai siamo tutti un po’ egocentrici), non ci tiriamo mai indietro. Basterebbe così poco per trasformare un noioso viaggio in una bella chiacchierata con il vicino di sedile; o l’attesa snervante per la soppressione del treno in una bella amicizia nata nella più remota delle possibilità, nel modo più naturale possibile, senza i filtri inutili della superficialità e dell’ipocrisia.
D’altro canto un certo Karl Marx una volta si mise a sostenere che gli uomini sono per natura “esseri sociali”, insomma: da soli non ci sanno stare! Allora magari ogni tanto, malgrado la “luna storta” e il cattivo umore, potremmo cercare di fare meno gli “orsi bruni” e sfruttare quell’ innata capacità di socializzare che caratterizza l’essere umano per definizione. In fin dei conti, visto che già ci tocca sopportare certe spiacevoli situazioni almeno cerchiamo di semplificarci la vita!