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Folklore milanese a Spazio DiLà: “La Rosetta di Piazza Vetra”

Dal 12 al 21 gennaio è andato in scena allo Spazio teatrale DiLà La Rosetta di Piazza Vetra, spettacolo scritto e diretto da Delia Rimoldi, interpretato da Claudio Gaj, Francesco Tornar e la stessa Delia nelle veci della protagonista, retto dal percorso musicale di Davide Benecchi e Claudio Gaj, e accompagnato da una scenografia di fondali in live painting, ad opera di Simone Galimberti.

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Un palco piccolo, quattro attori, una chitarra e una tela bianca che viene dipinta durante la messa in scena incorniciano la regia di questo spettacolo targato Spazio DiLà, che anche questa volta si rivela un delizioso connubio di mosse essenziali, ritmo coinvolgente e azione corposa.

La storia è quella di Elvira Andressi, detta Rosetta, una prostituta che “battea alla colonnetta”, la cui vicenda si colloca subito prima delle due guerre mondiali; uccisa non ancora diciottenne dalle percosse di alcuni agenti di questura, la sua vicenda ci giunge attraverso una canzone popolare, ma la testimonianza più peculiare la riporta una foto, ritrovata dal giIMG_5555ornalista Armando Forcolini in un cassetto dello scrittoio del padre Guido, che reca la scritta “Rosetta, mi hai dato le notti d’amore più belle della mia vita”.

A partire dalla lettura di questa dedica da parte del figlio i personaggi prendono metateatralmente vita e lo spettatore può piacevolmente prendere confidenza con la tenera ingenuità dei gesti maldestri della fanciulla (Delia Rimoldi), che in tutto assomigliano a quelli del suo spasimante più caro, Guido (Francesco Tornar), che si fanno spazio tra vicende quotidiane che vedono protagonista anche il migliore amico e compagno di spettacoli della protagonista, interpretato da Claudio Gaj. Il candore dei dialoghi riportati e l’infantile tenerezza nella gestualità dei personaggi esula lo spettatore dalla considerazione che sulla scena c’è un marito adultero e una prostituta intricata nella malavita, ma gli permette di affezionarsi a due individui, indipendentemente dal bagaglio che si portano dietro. È una dolce affezione che non si spegne mai, che rinasce continuamente, che volutamente viene portata avanti anche nella chiusa dello spettacolo, quando Rosetta, in punto di morte, ribadisce che “Vuole le liquirizie, perché ci va matta per le liquirizie”.

La Rosetta di Piazza Vetra riesce magistralmente nel suo intento di riprodurre registicamente le atmosfere popolari a cui si ispira a livello documentario. Canzoni tratte dalla tradizione folkloristica milanese (come Ma mi, scritta da Giorgio Strehler, ed interpretata da Francesco a inizio spettacolo, o Passa la ronda, di Claudio Villa) alternano coerentemente l’intenso gergo dialettale usato nella recitazione; la riproduzione della gestualità popolare e i costumi tipici e fedeli al periodo accompagnano questa scelta in un insieme decisamente equilibrato.

Ancora una volta è il ritmo il protagonista della performance: testimoniato non solo dall’importanza data alla musica, dai dialoghi veloci e dalle risate puntuali, ma anche da una regia coinvolgente, che alla fine dello spettacolo fa dei respiri scanditi e della voce degli attori la colonna sonora che sottende gli avvenimenti più cruciali, in cui tornando a casa la ragazza è seguita e catturata dagli agenti di questura, che la fanno fuori non senza prima averle usato della violenza.

Lo spettacolo si chiude proprio con La povera Rosetta, la canzone popolare che vede protagonista la Rosetta, e regala al pubblico uno spaccato di vita popolare storicamente lontano, ma per niente avulso da spunti di riflessione atemporali sull’assurda meschinità dell’abuso di potere.

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