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FIFTY SHADES OF GREEN: Un luminoso benvenuto in Irlanda

Sono da poco passate le sei. Verso ovest, alla fine di un lungo viale alberato fiancheggiato da case tutte uguali, un sole rotondo color pesca sta scendendo dietro le colline. Woodview Park è un tranquillo sobborgo di Limerick, che pare sospeso tra due centri di gravità: da una parte High Road, che in venti minuti di camminata conduce al caotico centro della città, dall’altra la campagna irlandese, la foce del fiume Shannon, l’Atlantico.


Venerdì sera: le vie, normalmente silenziose, si sono popolate in un batter d’occhio dei tifosi del Munster, la squadra di rugby locale, che oggi affronta gli Scarlet (gallesi) nella sesta giornata della Celtic League 2014-15. Mentre cammino verso casa, i supporters del Munster sciamano verso lo stadio di Thomond Park; alcuni di loro – tra cui molti bambini – mi salutano con la mano “Hey, lady!”. Un ragazzino – non più di tredici anni – mi fischia, ammiccante “What’s up, baby?”. Gli faccio un cenno e proseguo sorridendo.
Si è conclusa la mia prima settimana di vita in Irlanda, a Limerick, città non particolarmente bella, conosciuta per il rugby, la produzione di coltelli e per l’imponente fiume Shannon, il gigantesco serpente color ferro che la attraversa. Il nome irlandese, Lumineach, significa Palude Deserta. Non mi parevano proprio le migliori premesse per iniziare un soggiorno di cinque mesi in un Paese nuovo e in buona misura sconosciuto. Per lo meno, pensavo di non aver fatto una scelta mainstream. Eppure il mio arrivo in Irlanda non avrebbe potuto essere più sereno e il benvenuto più caloroso.

Da Dublino ho attraversato tutta l’isola, da costa a costa. Dai grandi finestrini del treno ho visto innumerevoli sfumature di verde: verde scuro, verde mela, verde smeraldo, verde così tenue da sembrare bianco. Persino il marrone, quello intenso dei campi appena arati, mi è apparso un colore vivo, meraviglioso. E poi l’arcobaleno: un enorme semicerchio di fuoco rosso e blu, che per qualche minuto ha sovrastato i campi e le fattorie. È proprio vero quello che avevo sempre sentito dire sull’Irlanda: la luce è completamente diversa da quella mediterranea, con il sole che va e viene a ritmo sincopato, dipingendo il paesaggio ogni volta con tinte diverse.

Alla stazione di Limerick mi ha accolto il mio nuovo padrone di casa, un uomo anziano, cortese ed elegante, che per tutta la vita ha girato il mondo lavorando sulle navi e che ora arrotonda la pensione affittando stanze a studenti e lavoratori. Il salotto è pieno di cianfrusaglie da ogni angolo del pianeta. Come tutti gli irlandesi, ha l’ospitalità nel DNA: il giorno dopo, domenica, mi ha fatto fare un giro della città in auto e invitato a prendere il the con la sorella e i nipoti. 

Venerdì sera, fine della mia prima settimana, il Munster ha battuto gli Scarlet 17 a 6 e, nonostante il freddo, la guida a sinistra – che mi ha fatto rischiare la vita più volte – e l’assenza di caffè espresso, tutto sembra andare per il meglio. Affabile, calorosa, luminosa, sorridente, a tratti un po’ rozza: l’Irlanda ha fatto di tutto, in questi pochi giorni, per farmi sentire a casa.

 

 

 


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