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Festa Mobile: Under Electric Clouds (Aleksey German Jr., 2015)

Sette storie sottratte alla linearità del tempo, interrotte e incomplete come le effigi del passato conservate in un 2017 incapace di riconoscerne lo spessore. In Under Electric Clouds (Pod electricheskimi oblakami), orso d’argento all’ultima berlinale, Aleksey German Jr. fotografa con sguardo compassionevole gli albori del nuovo millennio russo a cent’anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, ponendo l’accento sulla sterilità della condizione esistenziale comune a personaggi dall’avvenire incerto. La regia, solida e compassata, intercetta i patemi manifesti di un Paese in cui si annidano contraddizioni paralizzanti, incorniciate da piani-sequenza che riproducono flemmaticamente l’aura di torpidezza perdurante in ogni capitolo del film. Toni rassegnati e parentesi di trattenuta letizia si mescolano in un avvicendarsi di movimenti, azioni e pensieri intermittenti, i cui autori appaiono e scompaiono, entrando e uscendo di scena a distanza di tempo senza smentire ciascuno la vaghezza delle proprie aspettative. Una maniera, quella che riesce a distillare nei corpi della messinscena il grigiore di un paesaggio eternamente decadente, non ignara del cinema di Theo Angelopoulos, maestro la cui lezione (anche e soprattutto tecnica) si dimostra preziosa quanto quella paterna per il giovane regista russo. Probabilmente nessuna immediata folgorazione seguirà i titoli di coda di un’opera dall’impatto morbido, dosata sulla capacità di alimentarsi per gradi nella memoria dello spettatore.

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