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Fate of the furious: botte, esplosioni, due risate e poche auto

Quando ci si siede su una delle poltroncine imbottite e rifoderate di velluto, di fronte allo schermo bianco per vedere un altro Fast and Furious quello di pretesa è l’atteggiamento più sbagliato che si possa assumere. Chiedere ad un capitolo di questo fruttuosissimo franchise di essere un capolavoro, un film sulle corse d’auto e i motori, sullo spionaggo o che tutto ciò che accade sia attendibile dal punto di vista scientifico è insensato. Fate of the Furious dà quel che promette: tanta azione, qualche battuta divertente qua e là, muscoli, shorts cortissimi, toppini succinti e hackeraggi fittizi.

La trama scorre distesa, lasciandosi seguire bene e in tranquillità, senza azzardi, slanci o colpi di scena eccessivi. Si ha però l’impressione che la sceneggiatura, quasi come in una puntata di una serie tv anni ’80, non stia in piedi di per sé, ma si debba appoggiare necessariamente e sia anzi costruita sui singoli personaggi, dalla fisionomia ormai delineata in tanti anni e film.

Il risultato si basa sulle capacità e le peculiarità dei singoli attori. The Rock fa the Rock e con la sua autoironia caratteristica e la sua muscolare presenza dà vita ad un Luke Hobbes che si prende di dititto la palma di personaggio più riuscito della pellicola. Jason Statham interpreta sé stesso e lo fa molto bene, diverte e intrattiene nelle sequenze action-comic e negli scontri verbali con Dwayne Johnson, stupisce nelle scene di lotta e di free running.statham-vs-dwayne-johnson

Meno d’effetto invece gli sketch comici delegati a Tyrese Gibson, spesso scontati o poco riusciti. Il giullare del gruppo, a conti fatti, è abbastanza patetico. Scott Eastwood ha poco della stoffa del padre, sebbene gli assomigli parecchio, mentre a Kristofer Hivju assume nuovamente le vesti di un bruto. Menzione speciale per Charlize Theron, che con le sue doti di attrice spicca nel piattume generale del cast con un’intensità notevole. Un paio di brevi ma azzeccatissimi cameo della fantastica Helen Mirren illuminano la pellicola.

Vin Diesel un po’ sottotono fino all’impacciato nel proporre un Dom Toretto travagliato, la Rodriguez molto più convincente. Si avverte l’assenza della controparte di Toretto, ovvero il Brian O’Conner del compianto Paul Walker.

In sala c’è da divertirsi tra le auto che sfrecciano e volano sullo schermo, anche quando la logica prende il volo con loro. Alcune sequenze sono del tutto irragionevoli, l’espressione di una regia e di una produzione ardite. Però la corsa alla spettacolarità che aveva caratterizzato in maniera crescente gli ultimi capitoli della saga, per culminare nel lancio delle automobili da un aeroplano e nel volo di una Lykan Hypersport tra i grattacieli più alti di Dubai, sembra qua rallentare se non arrestarsi. Non del tutto, sia chiaro: vengono infrante più e più leggi fisiche nel corso del film, fatto che attrae una parte del pubblico e stizzisce l’altra. Ma da Fast and Furious ci si aspettano esplosioni alla Michael Bay, velocità smodate e un po’ di valori famigliari propugnati da Toretto ad amalgamare l’insieme. E chi cerca solo questo non rimarrà del tutto deluso.

Esagerata invece la sequenza che sembra voler contendere l’indiscusso primato di auto distrutte a The Blues Brothers, senza peraltro riuscirci, con un ampio e forse eccessivo uso dei visual effects. Mi spiace, ma l’inseguimento diretto da Landis non si tocca.

Se il taglio automobilistico già da tempo andava riducendosi, dopo questo capitolo si può dichiarare definitivamente morto: non ci sono più motori, nos, quarti di miglio, drifting e nemmeno decine di furiserie. Meno auto, meno corse, meno fast.

L’opening scene è l’unica che richiama al mondo clandestino delle drag race da cui tutto era partito. La fotogenica L’Avana è sapientemente scelta come ambientazione per un’incipit dal sapore rétro, tra hotrod vintage e muscle cars anni 80. Vengono recuperati e ridipinti in una mezza dozzina di minuti il virile Toretto e la sua Letty, con un contorno di fiamme, freni rotti, imbrogli ai danni del protagonista ed una morale un po’ grossolana: il vero cuore della saga.fate of the furious 2

Al termine della proiezione si tirano le somme di un film un po’ asciuttino, scarno, poco coeso. La sceneggiatura tende a seguire i singoli personaggi forse limitandosi alquanto a presentare quadretti, scene che danno l’impressione talvolta di non essere necessariamente concatenate fra loro. La regia affidata a F. Gary Gray è sempre attenta, il cineasta newyorkese conferma la sua capacità di offrire un prodotto action di qualità. Stona l’eccessivo uso di slow motion e camere in movimento, ma il contesto generale è molto buono.

Intanto dopo che Fast and furious 7 si è piazzato sesto tra i film con i maggiori incassi, il suo successore si avvia verso il terzo weekend da record di botteghino.

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