Scienza

Facebook e la questione privacy

di Alessio Labanca

Dopo che pochi e selezionati giornalisti del settore avevano ricevuto un particolare invito per il 15 gennaio a Menlo Park, quartier generale di Facebook, alcune voci avevano cominciato a circolare in rete: il fantomatico (e da lungo tempo rumoreggiato) Facebook Phone, un nuovo look alla tanto discussa Timeline e chissà quali altre speculazioni…
E invece Zuckerberg ha sorpreso ancora una volta tutti quanti presentando il “Graph Search”, motore di ricerca made-in-Facebook; ma non si tratta di un search engine che vada ad attaccare direttamente colossi come Google o Yahoo! (pare invece che in alcuni casi si appoggerà a Bing, di Microsoft), quanto piuttosto un’interessante feature che permetta di fare ricerche sui contenuti condivisi nel social network. Il “Graph Search” permetterà di effettura ricerche (sic!) riguardo ai nostri amici, le loro foto, i loro “Likes”, insomma tutta la rete in cui ognuno di noi si trova invischiato (senza dimenticare tags nelle foto, commenti sugli aggiornamenti di amici di amici…). In una manciata di parole? Una lama a doppio taglio.

Subito il primo pensiero, difficile negarlo, è stato: che ne sarà della mia privacy?
La questione viene sollevata ogni qual volta venga annunciato un piccolo cambiamento/aggiornamento del social network blu, uno dei tasti più dolenti dell’amministrazione del sito. Saremo tutti spiati/spiabili? Come dovremmo comportarci?

È  indubbio che da quando siamo entrati in questa nuova era digitale, da quando abbiamo cominciato a condividere stati d’animo, notizie, aggiornamenti sulle nostre vite sentimentali, foto, video e compagnia danzante (dapprima senza freni; poi pian piano, dopo aver acquistato una sorta di “coscienza privata” o magari pudore, abbiamo forse fatto una cernita delle cose condivisibili – o magari no?), siamo stati abituati a concepire un concetto diverso di “privacy”, concetto che continuerà a cambiare ancora nell’era del cosiddetto “Internet delle cose”.

Se si prende per vera l’equazione “condividere=rendere comune/pubblico” è d’obbligo pensare che la condivisione indiscriminata porterà ad un assottigliamento della (già sottile linea) di confine tra vita reale e vita “virtuale” (in realtà l’aggettivo poco si confà a quella che è la nostra vita sui social network, ma passatemelo per buono), le due cose tenderanno forse a combaciare. Ma, aspettate un momento: non lo fanno già?

La cosa che più mi stupisce, quando si tenta di discutere di privacy riguardo ai social network (diamine: come fanno a stare “privacy” e “social” nella stessa frase?  È un controsenso bello e buono) è proprio questo: perché nascondere qualcosa che è già stato reso pubblico?
L’era del “nickname” e delle chat per conoscere nuove persone è passato da oramai un’era tecnologica; ci presentiamo (a meno di account fake) con nome e cognome, ci “mettiamo la faccia”. Abbiamo due grandi strumenti dalla nostra parte: un apparato di elaborazione centrale (il caro e amato cervello, sì) e normative varie (inclusi i sottovalutati “Termini e condizioni” del sito stesso, che confermiamo sempre di aver letto – e che per dovere di cronaca, vengono molto spesso cambiati, a volte in meglio, a volte in peggio). Sta a noi usarle con giudizio e vivere una vita serena.

Per tornare alla domanda di prima, ammetto che non sempre le due vite coincidono: spesso e volentieri nascondiamo alcune cose ai nostri amici più o meno virtuali per condividerle solo con quelli “reali” e viceversa; chi di noi non lo fa? Ciò che lo impedisce è il dubbio esistenziale “Cosa potrebbe pensare Tizio se leggesse questa cosa? E Caio, vedendo questo video?” (insomma, questo è un atteggiamento a tratti estremo: se tutti si comportassero così, Facebook avrebbe chiuso baracca e burattini dopo due settimane dalla quotazione in borsa – non può essere preso come modello dell’utente medio, eppure voglio pensare che ci sia una vocina in ognuno di noi che ci porti a pensare queste cose).

Ciò che più mi preme in queste discussioni è quindi non tanto la tutela della privacy, ma i motivi che ci spingono a nasconderci (e con noi i nostri interessi, apprezzamenti, foto “scomode”…) dietro di essa.
Com’è possibile che in una società connessa come la nostra facciamo ancora fatica a rendere pubblica tutta la nostra esistenza? Cos’è che ci impedisce di rimuovere qualsiasi barriera per comportarci secondo un’unica realtà (“virtuale” e non)? Sentiamo davvero ancora il bisogno di tutelare le nostre persone e avere dei…”segreti”?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *