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Facebook come spazio letterario?

In che modo Facebook può effettivamente configurarsi come spazio letterario autonomo, indipendentemente dalla finalità di trasmissione? In altre parole: a coloro che fanno letteratura in questi anni Duemila si presenta davvero la possibilità di una nuova forma letteraria, all’interno e alle regole del più famoso (in Italia) social network?

Non pretendo, sia chiaro, di considerare Facebook unicamente come spazio letterario. Avviso però che qualsiasi tradizionalismo è fermamente rifuggito: speranzoso di non incontrare gli stessi “intellettuali” che ancora (con che coraggio?) faticano a riconoscere del potenziale artistico nella serialità televisiva e nel fumetto. L’arte non si decide in relazione agli strumenti e agli spazi di fruizione.

Per cominciare, mi allontano dal dominio dell’arte generalmente intesa, perché le vetrine di quella figurativa, del disegno (e del ricalco, per i più incapaci), del metraggio eccetera partono, in questo caso specifico, in posizione di svantaggio. Mi spiego meglio: Facebook, tra i social di maggior successo, è quello che legittima maggiormente la parola. Nonostante esistano delle alchimie, delle formule rituali per il successo dei post, queste non sono coercizioni indiscutibili, ma pure azioni sotterranee, impostazioni del network, le quali non impediscono, in fin dei conti, il testo nelle sue due dimensioni principali: qualità e quantità. Qualità o tono, direi, perché non c’è un topos ricorrente e preferito, se non nelle caduche o meno linee di tendenza (le mode). Mentre compete per economia, in termini di quantità, Twitter, che permetteva soltanto 140 caratteri e che da poco ha raddoppiato

Ecco: lontano da un qualsivoglia pregiudizio, credo in Facebook come spazio di creazione in proprio di forme letterarie. Intendo non uno strumento pubblicitario, non un’appendice, non un luogo di discussione né di riproposizione, di eco o di commento. Intendo un luogo per il quale – in virtù del quale la scrittura può e vuole elaborare una forma nuova. Ma quale forma?

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Andrea De Alberti è un poeta contemporaneo. Recentemente ha pubblicato Dall’interno della specie (2017) per Einaudi. Mi è parso più volte che una parte della sua prosa sul network avesse delle particolari regole di composizione, che pertengono sia a quella parte della grammatica puramente grafica e convenzionale (le maiuscole ad esempio sono raramente considerate necessarie), sia alla «verticalità dello stile» (Barthes). Per quest’ultima cito la riduzione dei segni di punteggiatura debole per uno scorrere direi “poetico” che non rileva le pause del verso; sintassi prevalentemente iterativa, nella generale tendenza contemporanea a rendere il ritmo (e non più il metro) con un certo arsenale di ripetizioni (Mengaldo); e un procedere ellittico. Tutte queste costanti sono incasellate quasi in una forma neo-epigrammatica, sicuramente per il rispetto dell’aspettativa di brevità del lettore “disattento”, da social network. Ancora un esempio: «A volte mi preparo la moka la sera prima per avere tutto sotto controllo il giorno dopo ma non funziona» (De Alberti, 11 Ottobre [splendida la questione: in che modo una bibliografia da social?]).

Dal particolare al generale: alla forma breve s’adatta (almeno in esordio) tradizionalmente generalmente una facilità: la bacheca personale è sì possibile crederla uno spazio letterario autonomo, ma nasce comunque come specchio liberamente deformante, filtrato, di un’individualità spesso già costruita e affermata all’esterno (perché coloro che sperimentano questo nuovo “spazio” non sono ancora “nativi” digitali). Direi che senza dubbio assistiamo ancora all’infanzia del testo poetico su Facebook: esercitarsi, sperimentare letterariamente è più facile e meno “rischioso” (cioè ha meno “ricadute” sulla produzione ufficiale) su una materia e su concetti a periferici, di secondo piano, non capitali. L’ironia, un certo modo connaturato di trattare una facilità d’argomento, è topos, e spesso si configura come autoironia, perché a fianco alla componente tonale si istalla un certo lirismo, per attrazione profilo Facebook, ideato nell’intenzione di riprodurre un’identità sintetica e schematica, un’interfaccia approssimativo dell’io. Accade coll’argomento molto frequentato del rapporto padre-figlio, per esempio in Pieraccioni, che forse non fa poesia ma ottimi post commerciali (*nota ironica*).

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Anche De Alberti dialoga spesso col figlio. La vita privata dunque si manifesta inevitabilmente, quasi può fingersi in una serie di appuntamenti rubricati ad hoc (parlerei volentieri delle rubriche, splendidi compromessi fra la cadenza giornalistica e l’immediatezza del web. Mi limiterò a non farlo). Luoghi ed orologi scandiscono i testi con la ritualità che soltanto l’aggiornamento costante può garantire: per De Alberti i posti fissi sono l’osteria, la casa, o qualsiasi luogo in cui c’è la famiglia (le radici e le ramificazioni). E ancora Matteo Pelliti (che ha una più serrata esperienza nel mondo del webcoltisbagli è il suo blogquesta la nostra intervista) parla nei suoi post con la figlia.

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Alla stessa maniera del libro e della scrittura in esso contenuta, i post su Facebook possono essere arte e possono non esserlo. Non mi addentro nella definizione di arte perché perderei il senno, penso comunque che il lettore capisca. C’è anche da precisare che non tutti gli scrittori o coloro che si reputano tali utilizzano i social in questo modo, anzi: la maggior parte li reputa soltanto un semplice strumento di comunicazione, una bacheca personale o meno nella quale pubblicizzare i propri lavori; altre volte (è il caso, ad esempio, di Franco Buffoni) il social è uno spazio per far valere la propria opinione, uno spazio di dibattito politico-filosofico, una perenne agorà del dialogo. Più spesso è, chiaramente, la sintesi degli utilizzi elencati, con altri non detti (per un ulteriore approfondimento sui codici e sui sottocodici dello stato, insomma sui suoi utilizzi, rimando ad una riflessione di Pelliti). Sempre Buffoni ha negato la presenza di una poetica specifica per il caso, pur ammettendo che però, «alla lunga, un social finisce col registrare la poetica di uno scrittore» (l’intervista è pubblicata da Le parole e le cose, nella quale sta uscendo una serie di interviste sull’utilizzo di Facebook fra gli scrittori). Sia chiaro che Facebook può anche essere spazio di pubblicazione di testi, tanto composti per la fruizione veloce quanto per altre sedi, ed “emancipati” nella sola intenzione di darle una prima autonomia, quasi a svezzarle: direi, se ne avessi la certezza, che questo spazio web accoglie le poesie una volta dette estravaganti, ma non è sempre così.

Ancora una cosa: il post di Facebook è un forte esempio di «surplus di testualità» (Pelliti). Difatti, la possibilità di un dibattito (o di un’accumulazione indistinta di commenti) elimina il tradizionalissimo mutismo dello scrittore. Questa testualità assieme all’altro topos argomentale, il discorso sulla poesia (la meta-poesia), inaugura un seminario permanente e direi aforistico (e profondamente – ancora – autoironico) sul testo.

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Avrei dovuto parlare anche della particolare sinergia che si sta sviluppando tra testo e materiale fotografico/ immagini; e del carattere delle immagini, ma per ragioni molteplici ho dovuto rinunciare. Mi avrebbe particolarmente coinvolto in egual misura uno studio sulla mortalità e ubiquità del post di Facebook. Mi spiego: a sedici anni scrivo «buona sera mondo di facebook come va?» (con tanto di faccine artigianali) o testi più imbarazzanti. Facebook dopo pochissimo tempo dimentica lo stato, lo sovrasta di una mole incommensurabile di altri testi, eppure lo rende sempre disponibile, come una risorsa immobile di sfottò. Allo stesso modo un testo è sì “recitato” su Facebook, perché la sua ribalta è di poco più duratura di una performance recitativa, ma è anche riposto in una memoria collettiva disponibile ai più e – a meno che non si intervenga direttamente – duratura. Non riesco a immaginare in che modo questa velocità-permanenza del testo possa influenzare le regole di composizione, ma sarebbe certo interessante comprenderlo.

Non penso di poter continuare: sia per mancanza di testi, documentazione e quant’altro; sia perché questo articolo vorrebbe vendersi come un questionario – un sasso lanciato – e ad esso allegata una sola risposta, prospettica: Facebook può configurarsi come luogo di un nuovo modo di scrivere letteratura. Attualmente accoglie testi misti, forse avanguardistici (? Anche soltanto per la posizione scomoda che hanno il coraggio di occupare) e in procinto di elaborare una prima sosta di genere. Ho voluto individuarne degli ingredienti: carattere epigrammatico, trama iterativa, tono ironico e argomento lirico. Cos’altro? Una certa volontà di registrare gli eventi minimi di una giornata… e poi?

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