Sport

Ero abbastanza serio, ero veramente forte. Intervista a Stefano Mei

di Simone Lo Giudice

 

Ci siamo incontrati alla Festa del Ticino 2011, in Piazza della Vittoria a Pavia. Fabio Tavelli ha appena saccheggiato gli studi di Sky Sport e ora ci mostra il suo bottino: il grande Stefano Mei e il direttorissimo Giovanni Bruno. Il nostro settembre comincia con un pomeriggio dedicato alle Olimpiadi di Londra 2012. Sky la trasmetterà in 3D per la prima volta nella storia televisiva del nostro paese. Sarà un’esperienza totale, forse unica: come quella di incontrare Stefano, il grande atleta dei nostri anni ’80. Quando lui trionfava a Kobe ’85 e a Stoccarda ’86, io non ero ancora nato. Ma dopo averci parlato ho capito perché arrivava sempre davanti a tutti. E adesso conoscetelo anche voi: pronti, partenza, via!

Hai iniziato a praticare atletica a livello studentesco…

Sì sì, uno dei casi in cui dico che la scuola ha fatto bene…

E di questa esperienza che cosa ti sei portato dietro?

Sai, lo sport, a mio parere, ti insegna a rispettare le regole…perché non ti sembrano così strane le cose che poi ci sono nella vita normale, per esempio rispettare i semafori o mettere la cintura…perché sai che chi corre in corsia nei 100 m deve stare nella sua corsia…è il vivere civile che alla fine dei giochi viene sottovalutato. E invece, secondo me, lo sport aiuta molto anche nel prosieguo della vita a sapersi comportare correttamente. E poi è ovvio che lo sport mi ha lasciato molto, sarebbe stupido dire di no: è chiaro che fa piacere quando sei famoso, quando vai forte, quando magari guadagni anche dei soldi. Mi ha lasciato dei bei ricordi: se, invece di ubriacarti e andare solo a ballare, hai vinto un campionato d’Europa, secondo me, il bagaglio di esperienza personale è più piacevole.

Dal 1979 la prima maglia azzurra. Come è stato l’impatto per un ragazzo di soli 16 anni?

Quello, ecco può essere rischioso perché sei gravato di responsabilità che non dovresti avere, perché a 16 anni te dovresti giocare non dico con i soldatini però quasi. Io avevo questo impegno che portavo avanti dal ’76, ero abbastanza serio, ero veramente forte, perché feci il record del mondo per i 16 anni nei 3000 m. E ho molti dubbi sui record fatti da atleti africani, perché vedendoli in faccia, pensare che possano avere 16 anni tutti mi viene difficile. Però ho cominciato da giovane ed è stata una delle volte in cui le premesse sono state rispettate.

Sui 1500 m sei già tra i migliori a 18 anni. Quale consiglio daresti a un giovane talentuoso di oggi? Una ricetta per non bruciarsi presto…

Sai, dicevo prima, durante la serata, che bisogna avere la fortuna di avere un educatore. Io avevo Federico Leporati, che era stato anche un buon atleta a livello nazionale. Penso che il segreto sia quello di non esagerare mai, nel senso di seguire il più possibile quello che dice l’allenatore e cercare di essere, non dico quasi un oggetto nelle sue mani, però di essere il recipiente in cui l’allenatore mette il sapere, l’esperienza che lui ha.

 

 

Hai conquistato otto titoli tra 1984 e 1991. Quale è stata la tua perla agonistica?

Sarebbe facile dire i campionati d’Europa del 1986, perché mi capitò di battere Alberto Cova che aveva vinto tutto fino a quel momento. Invece mi ricordo di quando arrivai terzo ai campionati del mondo di cross nell’82, a Roma alle Capannelle. Arrivai terzo in mezzo a sei atleti etiopi, che non avevano 19 anni ed erano sicuramente tutti più grandi. Mi trovai a correre in mezzo a loro e io ero l’unico bianco, oltretutto bianco anche di canottiera quindi faceva un certo impatto. Per dare l’idea del livello di gara: Francesco Panetta arrivò settimo e da me aveva 25’’ su 7 km. E quella è la gara che ricordo più volentieri, anche perché era un mondiale fatto a Roma: il massimo!

Sarai telecronista per Sky alle prossime Olimpiadi di Londra: che cosa ti aspetti da questa esperienza? È diverso raccontare un evento, anziché viverlo di persona…

Assolutamente sì, comunque ho avuto anche altre esperienze: ho fatto i campionati di Europa con Telemontecarlo nel ’98 e poi ho fatto tre Olimpiadi con la Radio RAI. La radio è molto affascinante, però ti dà modo di raccontare una cosa che gli altri non vedono, quindi puoi dire anche qualche cavolata, che te la fan passare. Il bello e il brutto al tempo stesso dell’atletica è che è molto difficile da commentare: devi tenere un livello di concentrazione elevatissimo per un periodo smisurato e devi stare attento a due-tre gare alla volta. Diventa difficile per quello, però io penso alla fine, usando un po’ di raziocinio e un po’ di buon senso, di venirne fuori.  E poi a Sky abbiamo Nicola Roggero e Maurizio Compagnoni come telecronisti: siamo in una botte di ferro!

 

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