Attualità

Ergastolo ostativo: dentro e fuori

Mi chiamo B. R. e sono detenuto nel carcere di Badu ‘e Carros. La testimonianza del perdono mi ha lasciato senza parole, sconvolto e addolorato per il male commesso. Come posso sperare nel perdono? Questa mia angoscia mi ha fatto tanto riflettere sul dolore che ho cagionato ai familiari delle vittime dei miei reati, al danno che ho arrecato all’intera società, vittima anch’essa delle mie sconsiderate azioni di un tempo. Anche se sono trascorsi trent’anni da quei fatti, e sebbene fossi appena un ragazzo di 24 anni, oggi non cerco di accampare giustificazioni. So bene che non vi sono attenuanti se non dire a tutti che sono profondamente contrito di quanto ho fatto in passato e dello scotto che ho giustamente dovuto pagare e che tutt’oggi sto pagando.

Queste le parole di B. R. , detenuto nel carcere di Badu ‘e Carros di Nuoro, la testimonianza è stata resa nella notte del 25 aprile 2017 durante un pellegrinaggio davanti a migliaia di persone. BR è uno dei tanti detenuti che in Italia sta scontando la pena dell’ergastolo. Il tema del “fine pena mai” è tornato di grande attualità dopo la sentenza della Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) che ha chiesto all’Italia di rivedere le norme sull’ergastolo.

L’art 27 della nostra Costituzione afferma: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte“.

In queste poche righe la Costituzione condensa una serie di principi cardine del nostro ordinamento giuridico. Le parole nel diritto sono particolarmente importanti e l’utilizzo del verbo “tendere” aveva suscitato, fin dall’inizio, un ampio dibattito in giurisprudenza sullo scopo principale della pena. Alcuni affermavano che tendere significa che le pene non devono per forza assicurare, o realizzare la rieducazione del condannato e quindi si cercava di eliminare il fine rieducativo della pena.

Solo nel 1990 una sentenza della Corte Costituzionale ha messo fine alla grande confusione che si era creata. La Corte afferma che la rieducazione è il fine dominante in tutte le fasi in cui la pena si esprime senza se e senza ma (fase comminatoria, commisurativa ed esecutiva).

La Corte europea dei diritti umani l’8 ottobre ha chiesto all’Italia di rivedere le sue norme in materia di ergastolo ostativo affermando che questo è contrario all’art 3 della Convenzione europea per i diritti umani, che vieta i trattamenti e le punizioni inumane e degradanti.

La vita che ho tolto a delle persone non può mai essere eguagliata alla pena dell’ergastolo. Loro non ci sono più, mentre io sono in vita e, credetemi, oggi sto ancora più male perché ho raggiunto un elevato grado di consapevolezza tanto da farmi capire che non esiste pena che possa eguagliare la vita di una persona. Sono stato condannato all’ergastolo e dopo 8-9 anni di carcere ho conosciuto la solitudine, la sofferenza, la desoluzione più assoluta. Questi lunghi anni di detenzione mi hanno insegnato a riflettere, mi hanno fatto pensare al passato ed è per questo che ho scelto di rivisitare la mia vita, scandagliando dentro alla mia coscienza per capire che dovevo cambiare, dovevo migliorarmi, dovevo perdonarmi.

L’ergastolo nell’ordinamento italiano è regolato dall’articolo 22 del codice penale: “La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno”. In Italia esistono due tipi di ergastolo: quello ordinario e quello ostativo. Chi viene condannato all’ergastolo ordinario ha diritto ad alcuni benefici come i permessi-premio e la libertà condizionale dopo dopo 26 anni di carcere se ha tenuto una buona condotta e un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento. Ottenuta la libertà condizionale, il condannato all’ergastolo è sottoposto per cinque anni ad un regime di libertà vigilata, con obblighi da rispettare. Al termine di questo periodo, se la sua condotta rimane soddisfacente, il reo torna ad essere un cittadino libero. Tutti questi benefici non sono affatto automatici ma consentono di reinserire il detenuto nella società e realizzare il fine rieducativo previsto dalla Costituzione.

Il vero problema riguarda l‘ergastolo ostativo perché non permette di concedere al condannato alcun tipo di beneficio o di premio. Questa pena viene inflitta a soggetti altamente pericolosi che hanno commesso determinati delitti: per esempio il sequestro di persona a scopo di estorsione oppure l’associazione di tipo mafioso. Per loro esiste soltanto il “fine pena mai”. I detenuti all’ergastolo ostativo possono rientrare nel regime ordinario nel caso in cui diventino collaboratori di giustizia, il che non è scontato, dato che diventare collaboratori di giustizia può essere pericoloso, non tanto per il detenuto in carcere quanto per la sua famiglia o per le persone a lui vicine che potrebbero essere oggetto di vendetta.

Anni fa pensavo che ammettendo giudizialmente le mie responsabilità ed accettando la pena comminatami ero a posto con la mia coscienza. Insomma, credevo che il rimorso, i sensi di colpa non si potessero mai presentare alla mia porta. Non è stato così, perché non avevo ancora compreso quell’immenso dolore che avevo arrecato a tante persone. La mia vita è cambiata, ho rinnegato l’associazione ‘ndranghetistica di cui facevo parte, ho troncato qualsiasi rapporto con le persone che conoscevo in passato, con i miei stessi parenti, tanto che non andrò più nemmeno nella mia città natia, ossia Reggio Calabria. Da circa tre anni sono stato ammesso ai benefici premiali e cerco di fruirli per inserirmi nel tessuto sociale della comunità nuorese e di tutta la Sardegna.

La sentenza della Cedu ha creato forti dubbi su come conciliare tale sentenza e l’ergastolo ostativo applicato ai mafiosi. Le carceri sono una palestra di affiliazione e i grandi boss, anche se in carcere, riescono spesso a tenere le fila del loro potere.

Mercoledì 23 ottobre, la Corte Costituzionale ha stabilito che la mancata collaborazione con la giustizia non impedisce i permessi premio per chi è sottoposto all’ergastolo ostativo, purché ci siano elementi che escludono collegamenti con la criminalità organizzata, precisando che “la presunzione di pericolosità sociale del detenuto non collaborante non è più assoluta ma diventa relativa e può essere superata dalla valutazione del magistrato di sorveglianza, che, caso per caso, deve basarsi sulle relazioni del carcere, sulle informazioni e sui pareri di varie autorità, dalla Procura antimafia o antiterrorismo al competente Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica”.

Raffaele Cantone, magistrato da anni impegnato nella lotta alla camorra, commentando la sentenza della Corte Costituzionale ha affermato: “ È una sentenza che di per sé non crea problemi nella lotta alla mafia, la sentenza è nella giusta direzione e, soprattutto, raccoglie un’indicazione vincolante della Cedu. Ci possono essere dei detenuti che, pur non collaborando, si sono ormai allontanati dal sistema della criminalità organizzata. L’elemento che va provato, dal mio punto di vista, non è la collaborazione, ma il risultato certo che il soggetto si è allontanato dal contesto criminale. Il tema vero è affinare i meccanismi per i quali si possono fare questi accertamenti. Ci sono anche tutta una serie di indici indiretti che possono essere valorizzati e devono essere accertati: ad esempio, le floride condizioni economiche di una famiglia di un boss che non lavora sono un elemento di prova che dimostra che c’è qualcuno che continua a finanziarla. Tutto ciò, ovviamente, richiederà uno sforzo maggiore dell’attività investigativa rispetto all’automatismo precedente legato al pentimento”.

La nuova persona che oggi vedo allo specchio ogni volta che mi guardo, spero che possa essere solo una risorsa per la società tutta, perché voglio dedicarmi solo a fare del bene per riscattarmi dal mio nefasto passato.

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