Attualità

End FGM: un impegno concreto (e possibile)

di Irene Doda

135 milioni. È una cifra impressionante, incredibile e mostruosa. È il numero di donne nel mondo che ha subito mutilazioni genitali: una pratica ancora molto diffusa nei paesi africani, legata a tradizioni antichissime e difficili da sradicare.

Di questo tema, così poco alla ribalta nei nostri media si è discusso a un convegno organizzato dalla sezione pavese di Amnesty International mercoledì 21 novembre. Colpiscono i racconti degli attivisti: come si rapportano di fronte a un tema così delicato? La posizione di Amnesty è tanto semplice da spiegare quanto difficile da attuare: non si deve arrivare a imporre il rispetto di quelli che noi consideriamo diritti inalienabili (in questo caso quello all’integrità fisica), bisogna confrontarsi con le complicate realtà di paesi culturalmente lontanissimi dall’Occidente.  Ci si scontra con la reticenza delle stesse donne ad abbandonare la pratica: spesso sono le madri o le nonne a imporre l’infibulazione o altri tipi di mutilazione alle bambine. Ma nel momento in cui si riesce a sensibilizzare anche solo una o due madri, ecco che la storia cambia: le donne africane non si fidano, forse, degli attivisti occidentali, ma sono capaci di creare grandi reti di solidarietà tra di loro. Da questa solidarietà si deve partire, senza pretese di indottrinamento o vocazioni pseudo-missionarie, per mettere fine al grido silenzioso di quei milioni di donne sofferenti. E la pazienza non è accessoria: è l’ingrediente fondamentale della lotta.

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