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Covid-19: il Medioriente post mezzogiorno

Quali scenari futuri?

Finora abbiamo cercato di analizzare cosa stia accadendo nella regione definita MENA (Middle East and North Africa) con lo scoppio dell’emergenza Coronavirus, tracciando un riassunto delle tendenze in atto prima dell’inizio della crisi sanitaria e provando a capire quali siano i modelli di gestione utilizzati dai paesi dell’area per arginare la diffusione della pandemia. Ma è possibile prevedere i risvolti dell’emergenza globale in queste terre tanto affascinanti quanto terribilmente eterogenee e spesso addirittura impenetrabili per chi le osserva dall’esterno? E ancora, qual è il ruolo della comunità internazionale che ha senza dubbio obblighi, non solo morali e dettati storicamente, verso questo puzzle di stati?

Una questione di soldi, oro (nero) e overpopulation

Paesi del Golfo: petromonarchie in crisi e perdita della centralità

Se c’è una parola che può tirare le fila di tante delle questioni che riguardano i paesi del Medioriente e vincolarli tra loro, in un modo o nell’altro, è “petrolio”. L’oro nero è la fonte tanto delle ricchezze quanto delle peggiori crisi dell’area, degli ups and downs delle economie e dei rapporti tra paesi. Il greggio consente al GCC (Gulf Cooperation Council, che comprende i maggiori esportatori, Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) di dominare il mercato petrolifero rappresentando il 61% delle risorse mondiali. Le economie di questi paesi, e in generale dei paesi arabi dell’area, si fondano sulla ripartizione delle rendite petrolifere. I paesi a cui spettano maggiori guadagni (ad esempio l’Arabia Saudita, che su questi fonda il 75% delle proprie entrate nazionali) si arricchiscono enormemente. Quelli a cui spettano guadagni inferiori si impoveriscono. Da ciò derivano importanti conseguenze politiche e sociali: il cosiddetto effetto “Babbo Natale” fa sì che al guadagno massiccio in periodi in cui il prezzo del petrolio rimane favorevole e costante corrispondano molti investimenti nel settore dei servizi alla popolazione. Tuttavia, agli shock e alle crisi del prezzo si associano dei drastici tagli alle elargizioni sociali e la necessità di richiedere prestiti esteri. Ed è ciò che è accaduto, ad esempio, all’Arabia Saudita: il governo di Riyad ha accumulato, negli anni, debiti con potenze estere vincolandosi all’oscillare del prezzo del petrolio e a obblighi esterni.
Ora, in una situazione di crisi globale come quella del Covid-19 questi stati – se già non lo sono – rischiano di finire in recessione economica, soprattutto perché non sono riusciti a diversificare le proprie economie andando a coprire anche settori non-oil. Con la Cina, che sta vivendo pesantemente le ripercussioni della pandemia, e il conflitto per il prezzo del greggio tra Arabia Saudita e Russia, si è stimato che la crescita del Prodotto Interno Lordo di questi paesi sia calata dal 2,8 al 2,1 %.

operai in una raffineria in Arabia Saudita
Operai in una raffineria in Arabia Saudita
(foto via AP / Amr Nabil)

Ma non solo. Il nodo rappresentato dai Paesi del Golfo ha un ruolo importante anche come punto di transito aereo, trafficatissimo per gli spostamenti tra Europa e Asia. Il blocco quasi totale dei voli ha provocato già una perdita di 100 milioni di dollari per le maggiori compagnie aeree. La Cina, oltretutto, non solo è il principale acquirente di petrolio per questi paesi, ma anche uno dei maggiori “fornitori” di turismo, soprattutto per gli Emirati Arabi Uniti, che stanno perdendo moltissimo. Lo stesso discorso vale per l’Oman, strettamente legato al colosso asiatico per i suoi export commerciali.

Area mediterranea: effetti non troppo “collaterali”

Proprio perché la parola magica “petrolio” può spiegare tante delle dinamiche che si svolgono in Medioriente, non bisogna dimenticare che il suo mercato coinvolge anche i paesi non produttori: milioni sono i lavoratori nel settore provenienti da stati del Nord Africa e della zona orientale del Mediterraneo che ora, rimandati a casa, diventano un problema per le loro terre d’origine, le quali non possono più contare sulle loro rimesse e devono gestire l’impressionante aumento del numero dei contagi.
Il Libano (dove si stima che entro fine anno la povertà aumenterà del 50%), il Marocco, la Giordania e la Siria, si trovano in effettiva difficoltà. Chi tende loro una mano? Tra Cina, Usa, Russia e Unione Europea impazza la gara a chi si sbraccia di più, ma per ora solo a parole (e con evidenti secondi fini). Intanto, il re saudita Salmān bin ʿAbd al-ʿAzīz, di turno al capo del G20, ha convinto i leader dell’organizzazione a stanziare 5 trilioni di dollari a sostegno dell’economia mondiale, mentre il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale predispongono somme di supporto ai singoli paesi richiedendo anche la sospensione dei debiti per chi è più in difficoltà.

una donna nutre il figlio in un campo in Yemen
Una donna nutre il figlio in un campo in Yemen
(foto via WP / Reem Nada)

Iran: nonostante le sanzioni la Repubblica Islamica non si arrende, e arriva nello spazio

In questi giorni, l’Iran ha lanciato il suo primo satellite di osservazione militare e ha accerchiato con la flotta dei Pasdaran (i “guardiani” della rivoluzione islamica) le navi della US Army e della Coast Guard americana. Due eventi che hanno scatenato la reazione degli Usa, già in una “relazione complicata” con il governo di Rouhani. La prima azione, infatti, è stata vista come una sfida a una risoluzione emessa dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel 2015 che aveva lo scopo di bloccare il programma missilistico iraniano e lo sviluppo della bomba atomica. La seconda ha invece scatenato l’ira di Donald Trump, che ha minacciato l’abbattimento delle navi iraniane in caso di percepita minaccia. Dal maggio 2018 il presidente americano ha mosso una feroce opposizione ai piani dell’Iran, tanto da uscire dall’accordo sul nucleare stipulato nel 2015, rilanciando così le pesanti sanzioni che hanno gettato il paese arabo nella crisi economica. All’indomani delle prime restrizioni, infatti, il Paese è entrato in una fase di recessione: il PIL è sceso al -9% e l’inflazione è salita a più del 40%.
Per la  prima volta dal 1962, l’Iran ha così chiesto aiuto al Fondo Monetario Internazionale, un fatto che ha conseguenze non solo economiche, ma anche geopolitiche fondamentali. Per la potenza mediorientale significa infatti cedere sovranità, allontanarsi dal sogno della Grande Persia moderna e del nucleare, ridurre i propri benefici vincolandosi a un’istituzione occidentale. Oltre al fatto che gli Stati Uniti potrebbero tranquillamente non accordare gli aiuti, all’interno della Repubblica Islamica si ha già sentore di un vero e proprio conflitto generazionale: da una parte i giovani che vogliono discostarsi dalla tradizionale linea anti-occidentale, dall’altra la teocrazia reazionaria di vecchio stampo. Cosa succederà si potrà scoprire solo nelle prossime settimane.

Ospedale provvisorio a Teheran
Un membro dell’esercito iraniano cammina in un ospedale provvisorio a Teheran
(foto via AP / Ebrahim Noroozi)

Uno spostamento degli equilibri di potere. Qual è il ruolo della Cina?

Il dover dipendere dagli aiuti esterni di istituzioni come il Fondo Internazionale e la Banca Mondiale o dai prestiti delle grandi potenze significa, per le tigri mediorientali, cedere potere, perdere importanza. Si preannuncia, osservando le analisi di queste settimane, uno scenario post-covid giocato su qualche inedito negli equilibri di potere regionale. L’ago della bussola potrebbe spostarsi a favore di chi ora, nonostante l’emergenza, sta muovendo bene le proprie pedine in tavola. Primo giocatore fra tutti la Cina, che sta sfruttando l’arma del soft power. Come? Fornendo supporto a diversi stati MENA come Algeria, Tunisia, Palestina e Iran con equipaggiamento e competenze mediche, e soprattutto con la cosiddetta “mask diplomacy” (all’Iran ha donato 250mila mascherine). Un modo per rifarsi dell’immagine negativa guadagnata all’estero a seguito dello scoppio della pandemia e per rilegittimarsi agli occhi del proprio popolo.

Al di là di quali saranno le partite da giocare sul grande scacchiere degli equilibri di potere mondiali, di primaria importanza rimane capire come muoversi per risolvere i problemi che si concretizzeranno (e già si iniziano a palesare) dopo l’emergenza. E se, come non si fatica a sentire in questi giorni, il mondo non avrà più la stessa faccia di prima, non si può pensare che lasciare ancora una volta il Medioriente a ribollire nella propria brodaglia pasteggiando con quel che ne resterà possa essere un sistema sensato. Ora più che mai servono soluzioni concrete: si stima che entro il 2050 la popolazione nelle aree urbane dei paesi di Medio Oriente e Nord Africa passerà dal 55 al 68%, esasperando il problema della sovrappopolazione. E’ necessario rilanciare le economie, stimolare gli investimenti in infrastrutture e sanare i problemi fiscali. Provare a risolvere i tanti conflitti e le crisi umanitarie, magari tentando la strada dell’innovazione e della sostenibilità, ma soprattutto della stretta e forte collaborazione, senza speculazione, di tutti.

Claudia Agrestino

Sono iscritta a Studi dell'Africa e dell'Asia all'Università di Pavia. Amo viaggiare e scrivere di Africa, Medioriente, musica. Il mio mantra: "Dove finiscono le storie che nessuno racconta?"

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