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Egitto: i conti della serva Italia

di Claudia Agrestino e Francesca Porcheddu

In un articolo pubblicato il 27 dicembre abbiamo ripercorso i momenti che hanno portato all’incarcerazione di Patrick Zaki. L’Italia con il suo comportamento lassista non prende una vera posizione, e sono tante le ragioni dietro questa scelta opportunista. Ciò che sta accadendo a Patrick richiama il triste caso di Giulio Regeni, ed è da qui che bisogna partire.

Giulio Regeni: la verità si sa ma non si può dire

3 febbraio 2016: il ricercatore triestino Giulio Regeni viene trovato morto lungo l’autostrada del deserto che collega Il Cairo ad Alessandria. Era stato catturato il 25 gennaio dalla National Security egiziana, i servizi segreti lo hanno torturato fino alla morte perché sospettato di aver tramato contro la sicurezza nazionale.
L’indagine è stata chiusa il 10 dicembre 2020. Sono stati emessi quattro avvisi di chiusura delle indagini, mentre per il quinto indagato è stata chiesta l’archiviazione. Le accuse sono di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Ma dietro questa vicenda sono molti ancora gli interrogativi irrisolti. Tanti sono stati i depistaggi da parte del governo egiziano fin dai primi momenti, la verità era sotto gli occhi di tutti, ma la mancata collaborazione del Cairo ha impedito, e continua a impedire, accertamenti e verifiche su ciò che è successo quel 3 febbraio di 5 anni fa: sarebbero infatti altri 13 i soggetti nel circuito degli indagati.
I genitori di Giulio chiedono con forza che sia fatta giustizia e che l’Italia prenda una posizione decisa e forte, e chiede di ritirare l’ambasciatore italiano al Cairo, fermare la vendita di armi e chiarire le responsabilità italiane sulla morte del figlio.

Giulio Regeni, guidato dalla sua relatrice, una nota professoressa egiziana di Cambridge che aveva scritto in modo critico sul presidente Abdel Fattah al-Sisi, era al Cairo per studiare i venditori ambulanti, in quanto il loro sindacato poteva essere la guida per un cambiamento politico e sociale. Dopo la primavera araba i sindacati rappresentavano infatti una fragile speranza per l’Egitto. Ma dopo il golpe di al-Sisi la stampa venne ridotta al silenzio, e gli informatori riempivano i caffè del centro del Cairo alla ricerca dei nemici del regime. Probabilmente è stato proprio il capo del sindacato autonomo degli ambulanti, Mohammed Abdallah, a segnalare Giulio come spia alla National Security.

Abdallah chiedeva a Giulio di poter usare a fini personali, in modo illegale, una borsa di studio che il giovane, grazie a una fondazione britannica, voleva far arrivare al sindacato, ma lui si rifiutava. Quando Abdallah capì che non avrebbe ricevuto per sé almeno una parte delle 10mila sterline in ballo, decise di denunciarlo per accreditarsi con la National Security come un informatore adeguato, e segnò la tragica fine del ragazzo.  

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(foto via Amnesty)

Italia – Egitto: quali interessi economici?

Non è un mistero che il nostro paese porti avanti da decenni una politica di amicizia e partenariato economico-commerciale con l’Egitto: fin dagli anni ’50, dopo la fine del periodo colonialista, ha sempre cercato di stabilire con i paesi del Nord Africa un rapporto sereno e collaborativo, tanto da diventare primo o secondo partner commerciale per la maggior parte di questi.

Secondo il resoconto annuale dell’Italian Trade Agency l’Italia risulterebbe per l’Egitto il 1° partner commerciale europeo, e per i primi nove mesi del 2020 si parlerebbe di 1.749.027 euro di esportazioni dal paese nordafricano verso l’Italia e di 1.172.073 euro di importazioni. Numeri importanti, che dipingono uno scenario di buoni scambi di prodotti e materie prime, in particolare per quanto riguarda i settori dei raffinati del petrolio e del gas, della chimica e dell’impiantistica. Proprio riguardo la questione energetica, non bisogna dimenticare che la nostra Eni possiede in Egitto alcuni dei suoi maggiori giacimenti tra i quali l’importantissimo ed enorme giacimento di gas naturale di Zohr (850 miliardi di metri cubi); che le nostre compagnie petrolifere collaborano con l’Egyptian General Petroleum Corporation, e che l’Italia nel 2019 ha firmato il patto che l’ha portata a entrare nell’East Mediterranean Gas Forum insieme a Egitto, Cipro, Autorità nazionale palestinese, Giordania e Grecia. Ad ultimo, ma non per importanza, a livello finanziario, l’italiana Intesa San Paolo è la principale azionista della Bank of Alexandria, la più grande banca d’Egitto.

La portata degli interessi economici dell’Italia in Egitto è diventata oggetto di interesse pubblico soprattutto dopo quanto accaduto a Giulio nel 2016 lanciando interrogativi anche su un altro tipo di interesse: quello delle armi.

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Vendere armi, e l’anima (Mauro Biani/ www.maurobiani.it)

Stop armi all’Egitto: un affare miliardario

Negli ultimi mesi ha fatto molto discutere la notizia della vendita di armamenti all’Egitto per una commessa dal valore di circa 9 miliardi di euro equivalente a due navi (le fregate Fremm Spartaco Schergat ed Emilio Bianchi) fornite da Fincantieri (una delle principali aziende pubbliche italiane attive nella cantieristica navale, ndr), e a una serie di altri mezzi tra cui 20 pattugliatori d’altura, un jet, un elicottero multiruolo, 24 aeroplani Eurofighter e probabilmente 4 ulteriori navi. Un affare andato letteralmente “in porto” in questi giorni: è del 28 dicembre infatti la conferma della consegna della prima nave al paese nordafricano. Ora non ci sono più dubbi: commesse milionarie, se non miliardarie come questa, da parte dell’Italia a diversi paesi dell’area MENA (Nord Africa e Medio Oriente) non sono una novità e l’Egitto è uno dei suoi maggiori acquirenti. Secondo la Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, redatta dalla Camera dei deputati per l’anno 2019, ammonterebbe a circa 872 milioni di euro la spesa in armi dell’Egitto (in cui non figurano ancora le recenti commesse miliardarie) equivalenti a 10 autorizzazioni, il che farebbe dell’Italia il primo partner dell’Egitto anche per la vendita di armamenti. Com’è evidente, si tratta di un rapporto commerciale regolamentato e riconosciuto. Tuttavia, il problema risiede in altre questioni. Nel nostro ordinamento esiste la legge 185/1990 (Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento) che oltre a nominare l’UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento ) unico ente responsabile delle autorizzazioni (il Governo se ne chiama fuori), sancisce anche i criteri secondo i quali è possibile legittimare le aziende per l’export. Oltre a enunciare i tipi di armi che non si possono assolutamente produrre e commerciare, determina a quali paesi è vietato venderle: […] paesi in stato di conflitto armato; paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione; paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell’Unione europea; paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani.

È evidente che l’Egitto, con le sistematiche incarcerazioni, uccisioni, violazioni di diritti umani e libertà non rispetta a pieno questi criteri.
Da qui la nascita nel 2020 di una campagna condivisa da Amnesty International, Rete della Pace e Rete Italiana per il Disarmo dal titolo #StopArmiEgitto con cui oltre a sensibilizzare la cittadinanza italiana al riguardo, si chiede a gran voce che la fornitura di armamenti al governo di al-Sisi venga interrotta. Il 31 dicembre inoltre, i genitori di Giulio hanno annunciato di aver denunciato con un esposto il Governo italiano per la violazione della legge 185/1990.

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Stop Armi Egitto (Mauro Biani/www.maurobiani.it)

L’Egitto: l’ago della bilancia nel Mediterraneo

La relazione tra Italia ed Egitto non è basata solo su rapporti commerciali, ma anche su importanti rapporti ed equilibri diplomatici. L’Italia, anche da un punto di vista geografico, è come un ponte naturale tra l’Europa e i paesi che si trovano al sud del Mediterraneo di cui, si è visto, è tra i primi partner commerciali. L’atteggiamento politico nei confronti degli attori nordafricani è sempre stato amichevole in quanto utile per la cooperazione in materia di sicurezza e nell’affrontare situazioni di emergenza, nonostante le preoccupazioni e le critiche sulle violazioni dei diritti umani da parte dei regimi di questi Stati. La stessa opinione pubblica italiana non si è mai mobilitata per mettere in luce queste contraddizioni, che un paese europeo non può accettare. Il caso Regeni ha rappresentato una svolta: è la prima volta che i cittadini hanno avuto un ruolo significativo e attivo nel chiedere di cambiare atteggiamento verso uno stato come l’Egitto che viola i più elementari diritti umani. 

Ma l’Italia non vuole rinunciare al rapporto con l’Egitto, ha una sorta di complesso di inferiorità nei confronti di un Paese che ha spazi di manovra immensi ed è ormai di primo piano nella scena internazionale: ha un’influenza enorme nel conflitto in Libia, rapporti importanti con Russia, Stati Uniti, Cina e in Europa con la Francia.
Prima di al-Sisi, il presidente dell’Egitto era Mohamed Morsi. Né Morsi né al-Sisi hanno mai messo in dubbio l’importanza dell’Italia come partner economico e politico per il Cairo. È significativo che entrambi i presidenti abbiano scelto l’Italia come prima destinazione europea per le loro visite ufficiali.

L’Egitto per crescere ha bisogno di appoggiarsi ad altri paesi e lo fa con la compravendita di armi e le risorse energetiche. Se l’Italia blocca il suo mercato all’Egitto, questo continuerà a comprare sempre più dalla Francia, e il nostro paese non ha nessuna intenzione di cedere il suo primato. Inoltre, al-Sisi piace agli Stati Uniti, all’Arabia Saudita e a Israele. Questo permette all’Italia di avere un trampolino di lancio nella scena politica internazionale. Per questi motivi ha interesse a garantire la stabilità di questo governo, nonostante Regeni e Zaki siano vittime innocenti del suo potere autoritario.

Se l’Italia continuerà a mettere al primo posto i suoi interessi economici e diplomatici, il timore è che la completa verità sul caso Regeni non arriverà mai. La vicenda di Patrick dovrebbe richiamare il Paese a una responsabilità maggiore: non si può permettere che la storia si ripeta, la giustizia e i diritti umani non possono essere barattati, e non è una questione di ideologia, ma di credibilità e di sovranità dello Stato. Anche se non sono pochi coloro che sostengono che, anche tolti questi rapporti, alla piena verità non si arriverà mai.
Tuttavia, il grido di dolore dei genitori di Giulio e di Patrick non deve essere ignorato; si moltiplicano gli striscioni e le campagne in tante città italiane che chiedono a gran voce verità e giustizia per i due giovani studiosi: lo Stato non può abbandonarli.

Manifestanti a Bologna per il rilascio di Patrick Zaki (foto via Facebook)

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