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Editoriale/ Il prezzo della cultura

 

di Giovanni Cervi Ciboldi

 

La sentenza del Tar di giovedì scorso impone all’Università di Pavia la restituzione dei ricarichi effettuati sulle rette delle fasce di reddito più alte, rincari ritenuti necessari per sopperire ai tagli statali, ammontanti al 4% circa.
La decisione si basa su una legge secondo la quale le somme incassate con le tasse di iscrizione non possono superare il 20% dei fondi che l’ateneo riceve annualmente dallo stato. Una regola imposta per moderare l’ascesa delle rette, che nel panorama UE sono le più alte; ma che di fatto, limitando l’incidenza degli atenei sulla loro definizione, ne limita anche l’autonomia finanziaria.
Il ricorso dell’Udu (sindacato studentesco) al Tar è stato quindi legittimo, e altrettanto legittima pare la sua accettazione.
La scelta di addossare la responsabilità di ripianare i conti alle sole fasce di reddito più alte è apparsa comunque meritoria, dato che si basa su un principio di equità e redistribuzione. L’ateneo ha gestito al meglio anche questo.
Il peccato originale che ha portato a questa situazione è da ricercarsi allora in cause di forza maggiore, indipendenti dall’istituzione universitaria. Lo stato ha tagliato i fondi senza offrire ai rettori altre possibilità di guadagno o risparmio, lasciando gli atenei soli nella ricerca delle somme necessarie per garantire i propri servizi.
Qualunque sia l’opinione sulla sentenza, occorre constatare che la decisione del Tar sancisce la totale dipendenza delle istituzioni culturali dal patrimonio statale a loro concesso. L’impossibilità di sopperire alla sua insufficienza rincarando le tasse di chi il servizio offerto lo sfrutta non lascia molti altri margini di manovra per recuperare ciò che lo stato ha tagliato. Ed è deprecabile, o quantomeno sconsigliabile, mettere in difficoltà le istiuzioni culturali in tempi di crisi, in cui l’apporto dei centri del pensiero deve essere stimolato il più alacremente possibile.
I rappresentanti dell’università, annunciando tra l’altro il ricorso al secondo grado di giudizio, affermano una cosa veritiera: ad un ateneo che non si macchia di sprechi, la riduzione dei fondi implica non una razionalizzazione delle spese, ma un risparmio forzato, dunque un ridimensionamento della qualità dei servizi che offre. Ed è probabilmente per questo che, a loro tempo, le sentenze del Tar della Toscana sulla stessa materia furono diametralmente opposte.

4 pensieri riguardo “Editoriale/ Il prezzo della cultura

  • Osservatore Romano

    Inutile fare finta che decenni (conosco l’ambiente da 20 anni) di convegni a spese delle casse universitarie ambientati in località di villeggiatura oltremare o oltreoceano durante i quali risultano presenti mogli-famiglie-amanti di dozzine di professori sommati a cazzotiche spese tecniche (rinnovo parco-pc eccetera) e appalti forniti ai soliti noti (causa iscrizione all’Ordine non si possono citare nomi pena querela e diffida) NON incidano sul complessivo dei fondi a disposizioni. L’Università di Pavia è ricca (un po’ come il paese tutto): usa i liquidi in maniera molto discutibile. Altro che “non si macchia di sprechi”.

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  • Giovanni Cervi Ciboldi

    Io non mi baso su conoscenze-sentito dire-esperienze personali- credenze individuali-illuminazioni sulla via di Damasco, ma sui bilanci pubblicati. Numeri. Conviene leggerli.

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  • Osservatore Romano

    Non ti basi su esperienze personali?

    Allora non ti leggerò più: nell’ambito della fiction c’è di meglio.
    Con la normativa vigente pure i bilanci pubblici appartengono al genere.
    Buona fortuna con il prossimo romanzo.

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  • Giovanni Cervi Ciboldi

    Non credo che alcuno possa avere l’esperienza sufficiente in ogni aspetto della gestione universitaria per poter dare un giudizio su come l’ateneo spende i suoi soldi. Ciò che a me può sembrare uno spreco di denaro ad altri può invece sembrare un qaualcosa di costruttivo. Per esempio, l’anno scorso venni informato di una conferenza della quale, ragionando con altri, dubitavo dell’utilità. Un mio compagno di corso invece, incuriosito, si fece 50 chilometri per andarla a sentire. Rimase in piedi al fondo della stanza perché i posti a sedere erano occupati.
    Se mi basassi sulle esperienze personali, e lo faccio qui e non nell’articolo, direi che l’università agisce nel migliore dei modi possibili. Ma dato che è una mia impressione e non dati certi, preferisco fare informazione con delle tabelle in mano. Scrivo articoli, non racconti.
    Aggiungo pure che nel giornalismo di oggi le opinioni di convenienza e conformiste sono all’ordine del giorno. Da me non le avrai.

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