AttualitàUniversità

Editoriale/ Festa sì, festa no

 

di Giovanni Cervi Ciboldi

 

Non sono molto chiari i prodromi della vicenda della festa censurata mercoledì sera che, a un primo sguardo, sembra assumere tratti realmente paradossali.
La situazione, stando a quanto emerso nei primi momenti, sarebbe questa: l’Università concede i propri locali a un gruppo di studenti allo scopo di indire una conferenza, in totale buona fede e fiducia nelle intenzioni degli organizzatori quanto alla gestione dello spazio ottenuto. La conferenza è in realtà una festa dalla natura discutibile, sicuramente ironica, scelta ad hoc per creare abbastanza rumore da assicurare un certo interesse nei giorni precedenti la festa stessa, e quindi ottenere una discreta partecipazione. Ai concessionari dell’aula giunge poi una lettera che, lamentando il non rispetto della comune sensibilità dovuto al tema considerato blasfemo, chiede la sospensione dell’evento. Detto fatto, la festa è bandita. E le regole sulla concessione delle aule, non solo a fini di bisboccia, vengono irrigidite.
Le questioni sono due: diverse, con diversi protagonisti, con diverse questioni di opportunità.
L’irrigidimento delle norme per l’utilizzo degli spazi dell’Università è chiaramente legittimo, se non doveroso a seguito del fatto che, come dice sulla Provincia Pavese un rappresentante dell’ateneo, “le feste sono sempre state mascherate adducendo pretesti di conferenze”. Una consuetudine che fino a questo momento nessuno aveva mai discusso: il solo fatto che se ne parli come di una cosa che accade abitualmente impedisce però di deviare i motivi di questo giro di vite solo sulla non trasparente gestione degli spazi comuni da parte degli studenti. Hanno molto contato anche le recriminazioni, innegabilmente minoritarie, nei confronti del contenuto della festa. In ogni caso, nonostante la decisione dell’Univeristà sia tesa a far chiarezza su una questione mai affrontata prima appaia scaturire in modo non spontaneo nè tantomeno autonomo, non perde comunque legittimità. E se tale appare viziata dal fatto di non poter essere intesa come nascente da una mera volontà regolamentatrice, poco importa, visto che la reazione dell’ateneo è volta a motivi di chiarezza dei quali in futuro tutti potranno avvantaggiarsi.
Per quanto riguarda invece la condanna della festa, tutto scaturisce da una lettera, dalla quale, se si stralciasse parte del contenuto, si sarebbe indotti a pensare al peggio. “Con grandissimo stupore e sdegno siamo venuti casualmente a conoscenza della festa. Ma l’università dov’è di fronte a questo fatto?”. Baccanali, messe nere ed erezone di Moloch in marmo grigio? No, una materia delicata, trattata in modo caustico e con toni canzonatori. Non un basso profilo; al contrario, una volontà lautamente satirica. Poco opportuna, certo. Un “divertimento da dio”, una “festa della madonna”, ed altro che sarebbe stato meglio evitare. Ma non c’è blasfemia, non c’è bestemmia, non c’è insulto né umiliazione. Solo una provocazione dalla quale è ovviamente possibile sentirsi toccati, non certo vessati o molestati nel proprio credo. Un pungolo del quale è giusto discutere, ma non abbastanza appuntito da richiederne la censura, ignorando la volontà di altri studenti a parteciparvi, visto che la gran parte degli universitari cattolici si è detta addirittura divertita dalla locandina, ignorando chi possano mai essere i Torquemada di Pavia.
Ecco, con grandissimo stupore e sdegno, c’è da chiedersi dove siano finite la tolleranza e la moderazione.

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