Attualità

Editoriale/ Che monotonia questa indignazione

di Giovanni Cervi Ciboldi

 

Fa sicuramente piacere vedere ospiti giovani e sconosciuti nelle trasmissioni politiche, segno che anche l’Italia sta gradualmente comprendendo la necessità di compensare l’esperienza gerontocratica con lo stimolante confronto offerto dalle menti più giovani. E può darsi che stavolta non sia solo propaganda.
Voci nuove, facce nuove. Idee vecchie. Magari usurate. Più spesso assurde. Quando ci sono, s’intende. Perché il più delle volte nemmeno ci sono, le idee, ma i novelli virgulti rampanti (e rampicanti) conoscono perfettamente la dottrina, l’ideologia, la lingua necessaria.
Alla mente giovane, i problemi su cui da anni si arrovellano le menti di studiosi, statisti e giornalisti paiono improvvisamente turbe senili da vecchi matusa rimbambiti negli anni.
Le soluzioni, a quanto pare, sono molto più banali di quanto tutte queste fossilizzate cariatidi vogliono farci credere.
Il debito pubblico? Cancelliamolo. La partecipazione? Sulla rete. Il capitalismo? Fallito. Il capitalista? Assassino. Il liberalismo? Roba da filosofi. Il liberale? Fascista. La destra? Fascista pure lei. E la sinistra? Beh, la politica, in generale, è un cumulo di cacca. Tutta? Tutta, tutta.
Come abbiamo fatto, noi così giovani ma già così vecchi, a non pensarci prima.
Ecco, ad affollare studi televisive e piazze cittadine, analisti in fasce che avanzano giovani e innovative idee: tassare. Ecco arrivare improvvisati economisti, affermando di schierarsi “con Occupy Wall Street, riconoscendo che tutto il sistema ha fallito”, ignari che gli invasori dei marciapiedi della finanza americana, rispetto alla parodia offerta dagli emulatori italiani, sostengano una tesi ben più erudita e consapevole (“non è il sistema ad essere fallito, ma il potere fuori controllo della finanza ad averlo reso virtuale e caotico”). Seguono a ruota gli immancabili dotti della Sapienza, recanti approfondite analisi sociopolitiche: “La democrazia è fallita”. A contenere la magmatica orda sono le falangi più radicali e personaliste (“Berlusconi ci deve ridare i soldi”, “i soldi di Berlusconi sono nostri”), e a sciamare nel mezzo, bardi della comunità con slogan alcalini (“da papi a pappone”) e il branco dei fucilieri bardati al vetriolo (“banche e sbirri nemici del popolo”).
A tutti vengon poi poste, fatidiche, le domande: Cosa chiedete? “Superare il problema della precarietà”. Cosa proponete? “Investire sui giovani e sulla ricerca”. Forse qualcuno ci aveva già pensato. Eppure, tutto è più maledettamente complicato di quanto non possa sembrare.
Non bastano, a testimonianza del proprio malessere, richieste scontate. Servono progetti e sacrifici per uscirne. E il fatto che coloro i quali si sono trovati in parlamento a gestire tali temi si siano dimostrati del tutto incapaci rende ancora più grave l’assenza di un reale e costruttivo pensiero giovane alternativo.
Necessitiamo di un caustico bagno di realtà. Anche se crediamo di non avere responsabilità, non è detto che il compito di tirarci fuori dal baratro stia solo a chi ci ha guidati in esso. Ciò che è giusto non sempre accade, e non è affatto detto che non possiamo essere noi stessi a risollevarci. Non è la fantapolitica ad essere in grado di darci un lavoro. Non bastano i buoni propositi e lamentele, servono esempi, azioni concrete. Quanta gente ci sarebbe da invitare davanti a una telecamera, da dottorandi in fuga a operai sedicenni, quella parte di nazione che non ha avuto né il tempo né le possibilità ad essere tra noi a folleggiare sulla fine dei massimi sistemi.
Credersi migliori degli altri, pensare “di rappresentare qualcosa di meglio della politica, la parte più produttiva, più evoluta di questo paese”, non permette di dipanare le nuvole dell’ideologia per azzerare un pensiero, condannare gli eccessi, capire la crisi e ricominciare da capo.
Ecco il punto: conviene che la gioventù degli striscioni e degli slogan confezionati diventi una gioventù autonomamente pensante, determinata e cosciente dei suoi bisogni. Indignarsi un po’ di meno e meditare un po’ di più non infrange alcuna giustizia sociale.
Si sa mai che, a dimenticare il politichese e a confrontarsi con la realtà, un futuro ce lo si crei davvero.

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