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È morto un re

di Giorgio Intropido

C’era una Milano in bianco e nero che non ricordo. Beh sì, non l’ho vista, sono troppo giovane, e poi non ci abito neanche a Milano. Ma come, neanche tu la ricordi?

Dai, su, la Milano… Quella lì insomma, ci siamo capiti. Quella che se aspettavi il tram ci trovavi Pedro Pedreiro, pensoso e senza un soldo. C’era anche chi, oltre al sacco con le poche cose che aveva, si portava dietro la propria dignità, tanto da vergognarsi a chiedere le mille lire per quatà una trata.

Se invece prendevi la metro a Rogoredo trovavi il solito innamorato senza più niente da perdere; anche lui cercava i suoi spicci. Tutti a cercare soldi. C’era Gigi Lamera, il gran signore che lavorava alla catena di montaggio: veniva in treno lui, mica in bicicletta che non si sa mai se qualche signorina si mette a fare domande.

Se finivi poi in piazza Beccaria c’erano altri tipi di signorine, camminano sul marciapiede, calze di seta con la riga nera. Chiedevi indicazioni, aeroporto Forlanini… Dai almeno l’idroscalo lo conosci: ti capitava il solito barbun, scarpe da tennis e tutto il resto, sale in macchina, fa domande e tocca tutto. Mai vista un’auto questo qua, mai. E poi ancora c’erano l’Armando, il Silvano, Giovanni telegrafista, i soliti accordi, il Messico, le nuvole e una fetta di limone.

Manca solo Jannacci, il sorriso, la smorfia che ha cantato e raccontato tutto questo. E se ci ripenso rido, neanche ho voglia e rido. Poi non rido più.

Si potrebbe andare tutti quanti al tuo funerale
Vengo anch’io? No tu no
Per vedere se la gente poi piange davvero
e capire che per tutti è una cosa normale
e vedere di nascosto l’effetto che fa

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