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Due chiacchiere con Peter Gomez

di Francesco Rossella

Gomez

Perugia, Festival Internazionale del Giornalismo 2009. Passeggiando per la via principale della città, incontriamo casualmente Peter Gomez, inviato de “L’Espresso” e autore di numerosi libri sulla storia recente della politica italiana, quasi tutti con Marco Travaglio. Il giorno prima, i due hanno tenuto nel teatro cittadino una conferenza sulla nascita di Forza Italia. Cogliamo l’occasione per fargli un paio di domande sulla situazione politica in Italia allo stato attuale.

Abbiamo seguito con interesse il suo dibattito con Travaglio sulla storia della Seconda Repubblica. In particolare, abbiamo apprezzato molto la parte finale del suo intervento, nella quale lei dice che è ora di smetterla di pensare che tutti quei milioni di italiani che votano Berlusconi sono ignoranti o culturalmente inferiori. Il problema, invece, come giustamente faceva notare, è la mancanza di un’informazione totalmente libera. A suo parere, in che misura questa mancanza d’informazione contribuisce ai successi elettorali del centrodestra? Detto in altre parole, quanti votano Berlusconi perché sono male informati e quanti invece lo votano perché ci credono davvero?

La questione è più complessa di quanto possa sembrare. I mass media dal punto di vista numerico non spostano più di tanto i voti dell’elettorato italiano. Al di là di questo, per quanto riguarda Berlusconi il problema è diverso: qua si parla di una rivoluzione culturale. Intendiamoci, agli esordi la televisione commerciale era un fattore positivo, in quanto ha smosso il sistema paludoso della Rai, costringendola a concorrere con Fininvest, e nei primi anni novanta avevamo una delle migliori televisioni d’Europa. Dopo però, anche a causa dell’omologazione delle varie reti televisive, si è finito per avere una serie di modelli culturali che io amo definire “l’Italia dei calciatori e delle veline”. Se il modello culturale è quello, non ci si può stupire poi che a dodici anni ci siano ragazzine che fanno le cubiste in discoteca.

Lo stesso ragionamento si può fare dal punto di vista politico: non si tratta esclusivamente di un problema di informazione ma anche di modelli culturali sbagliati. Mi spiego: in nessun paese democratico sarebbe permesso a un singolo di possedere più di tre canali televisivi. In Italia Berlusconi è come se ne possedesse sei o sette. Tutto ciò non viene consentito altrove perché si è capita la potenza dei media, e quindi non è un bene per le democrazie che tutto ciò avvenga. Ecco, questo è il quadro generale. Dopodiché, ribadisco che è legittimo votare per Berlusconi  e che deve finire questa storia della presunta supremazia culturale della sinistra. Chi vota per il centrodestra non è necessariamente un corrotto o un mafioso: ci saranno pure quelli, ma la maggioranza sono persone che si aspettano un miglioramento delle proprie condizioni di vita o di quelle del paese esprimendo legittimamente il loro voto, per vari motivi: perché non hanno al momento alternative credibili a sinistra e anche perché il sistema dei media ha massacrato probabilmente oltre il lecito l’operato del governo Prodi. Ricordiamo poi come sono stati usati in passato i media nel nostro paese: l’ultima vittoria di Berlusconi a mio parere va fatta risalire al gennaio 2005, quando il “Giornale”, di sua proprietà, pubblica un intercettazione telefonica tra Fassino e Consorte in cui l’allora segretario DS dice di avere in mano la banca Unipol. A quel punto viene meno anche la presunta onestà che il centrosinistra si attribuiva. Nel momento in cui è passato il messaggio “sono tutti uguali”, ecco che nell’elettorato di sinistra subentra la delusione, che si tramuta spesso in astensione al momento del voto. Intendiamoci, Berlusconi ha vinto legittimamente, ma non è questo il punto: il fatto è che non è né normale né giusto che un leader politico abbia tutte quelle televisioni. Altrimenti non si spiegherebbe come mai una tale forma di controllo dei media sia presente solo nei regimi totalitari dove esiste una tv di stato e non invece in paesi democratici come Gran Bretagna o Stati Uniti, tanto per citarne due.

Una riflessione finale: nel bene o nel male, sono quattordici anni che Berlusconi è il protagonista indiscusso della vita politica italiana, sia quando è al governo come adesso ma anche nei sette anni in cui è stato all’opposizione. Che piaccia oppure no, siamo nell’epoca di Berlusconi. Ecco, dopo tutto questo tempo sorge spontanea una domanda, che credo si siano fatti in tanti: perché la maggioranza dell’elettorato italiano, in misura sempre maggiore, ha votato e continua a votare per il centrodestra?

Questa domanda ovviamente me la sono posta anch’io. Brevemente, credo che essendo il sistema politico italiano un bipartitismo imperfetto, il mercato elettorale non propone molta scelta. Non è pensabile votare la sinistra radicale che presenta il proprio leader nei salotti buoni di “Porta a porta” mentre va predicando la rivoluzione comunista, tanto per fare un esempio. Alla fine in questi ultimi quattordici anni centrodestra e centrosinistra hanno governato, a fasi alterne, sette anni ciascuno: la domanda fondamentale bisognerebbe porsi è questa: l’Italia è andata avanti o è andata indietro? Io non credo sia andata avanti, e credo anche che nessuno, dati alla mano, possa sostenere il contrario. La verità è che la nostra classe politica è mediocre nel complesso; nel centrodestra esiste però una persona che ha indubbie capacità mediatiche e che è il padrone indiscusso del suo partito. Dal 2006 si vota senza preferenze, e non a caso lo ha deciso il centrodestra, con lo scopo di trasformare il Parlamento in un Consiglio di Amministrazione. E’ una visione autoritaria della democrazia che secondo me non passerà, per il semplice fatto che Berlusconi è un uomo di settantatre anni che non può rappresentare questo paese e il suo futuro: siamo l’unico paese democratico al mondo che è governato da signori ultrasettantenni. Come si può pensare al futuro avendo settant’anni? Non è possibile. L’Italia avrebbe bisogno di nuovi leader tra i quaranta e i cinquant’anni, come accade nella maggior parte dei paesi normali.

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