Cultura

Draquila: l’Italia trema ancora

draquila

di Giovanni Cervi Ciboldi

“Credo che il nostro paese non farà una bella figura”, ripete più volte il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, quando gli si ricorda che Draquila – L’italia che trema, documentario cinematografico di Sabina Guzzanti, ha vinto un volo sola andata per il Festival di Cannes, categoria fuori concorso.
Una notizia che dovrebbe suonare come positiva, dato che durante il festival (in partenza il 12 maggio), al fianco di Draquila, saranno presentati film di maestri del cinema come Ridley Scott (che apre le danze con l’atteso Robin Hood), Takeshi Kitano (Outrage), Oliver Stone (Wall Street 2) e Woody Allen (You will meet a tall dark stranger).
In patria, invece, la notizia non è stata recepita nel migliore dei modi. Il ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi ha preventivamente comunicato che diserterà il Festival proprio a causa della presenza di Draquila, da lui definita come “una pellicola di propaganda che offende l’intero popolo italiano”. In un evento di tale calibro, l’assenza senza precedenti della rappresentanza governativa, accusata dall’ex ministro della Cultura francese Jack Lang di avere “una strana concezione di libertà”, priverà l’Italia e le sue due opere di un sostegno quantomeno dovuto, dato che il documentario della Guzzanti non è il solo film italiano presente alla rassegna. In concorso per la Palma d’Oro, infatti, ci sarà anche La nostra vita di Daniele Lucchetti.
Acclamato nelle première prioettate all’Aquila e a Bologna ma incapace di grandi incassi al botteghino (undicesimo nel primo week-end), Draquila arriva così, cinico e discusso, nelle nostre sale.
Era appena terminato il G8 quando Sabina Guzzanti, abbandonate le vesti di comica ed indossate nuovamente quelle di una giornalista d’inchiesta, parte alla volta dell’Aquila con un gruppo di soli quattro collaboratori allo scopo di indagare su aneddoti che, fino a quel momento, erano considerati solamente indiscrezioni.
Si inizia l’accento sull’utilizzo strumentale della tragedia Aquilana per nutrire l’immagine di un premier in crisi attraverso pubblici proclami e una facciata di “politica del fare”. La maggioranza viene accusata di coprire un enorme giro di speculazione edilizia che si sfama di appalti “regalati” dalla Protezione Civile (usufruendo della normativa, modificata a piacimento, che regola le situazioni di urgenza) alla “cricca” di Anemone (la stessa che oggi ricorre sui giornali nella vicenda di casa Scajola). In cambio, gli incaricati di gestire l’emergenza  avrebbero ricevuto favori economici e sessuali. A partire da ciò, il film tende quindi a dimostrare una tesi condensata nei minuti finali: infranti quegli ideali di trasparenza e legalità che fondano l’idea di una società democratica, gli episodi dell’Aquila sono esemplificativi di una crisi della democrazia in Italia .

La coscienza della popolazione intrappolata nelle tendopoli militarizzate viene così mostrata come manipolata attraverso televisori al plasma costantemente sintonizzati sulle reti Mediaset. Ogni tentativo di manifestazione contrario al volere di chi gestisce la situazione sembra essere soppresso o reso impossibile. La Protezione Civile appare come braccio esecutivo del governo e serbatoio di fondi liberamente gestibili dallo stesso, mentre la gente è dispersa sulle coste e coloro a cui è stata consegnata una casa devono assicurarsi di riconsegnarla nelle condizione in cui l’hanno ricevuta. Il tutto nella totale assenza dell’opposizione, simboleggiata dalla tenda desolata del Pd, simbolo del suo disinteresse per la situazione.
Il risultato è un documentario in stile Micheal Moore (Bowling a Columbine, Fahreneit 9/11, tra l’altro amico della Guzzanti) che nei suoi 93 minuti cerca di far luce su uno scandalo italiano, ma che non dimostra la stessa efficacia e capacità di analisi del regista americano. A onor del vero, infatti, il montaggio appare talvolta confusionario e limitante, proponendo una struttura che non riesce a dare un ordine efficace alla mole di scene prese in considerazione.
Immagini “sgranate” e inquadrature approssimative sono coerenti con la stessa natura di documentario, mentre sono poco convincenti la maggior parte delle interviste agli abitanti del luogo, che a parte sporadici episodi (meravigliosa la testimonianza del professor Colapietra, unico abitante del centro della città) risultano non avere rilevanza.
Quasi del tutto assente la verve comica alla quale la regista ha abituato le platee, relegata nei soli minuti iniziali, momento in cui viene riproposta la famosa imitazione satirica del premier che rese celebre la regista nei suoi primi momenti televisivi.
Una occasione preziosa per riordinare e condensare le notizie che la gran parte degli organi di informazione ha trattato in modo marginale, ma che perde incisività proprio per la mancanza di un filo conduttore che analizzi punto per punto le varie tematiche proposte, raggiungendo così solo a metà l’obiettivo di formare nello spettatore una coscienza sul supposto scandalo, aprendo molte parentesi che spesso, dopo aver fornito gli strumenti basilari necessari per interpretarli, lascia alla personale valutazione di ognuno. Così, la tesi di fondo appare eccessiva: ma anche scontata.

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