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Don Milani e la Scuola di Barbiana: un esempio di umanità

Siamo a nord di Firenze nel territorio del Mugello, più precisamente nei pressi del comune di Vicchio. Qui, nascosta tra i boschi che vestono la pendice nord nel monte Giovi si trova Barbiana. La località nel 1954, complice il fenomeno di esodo dai monti, contava soltanto 127 abitanti. Il 7 dicembre di quell’anno, rispettando la decisione del Cardinale Dalla Costa, don Milani raggiunge la parrocchia di Sant’Andrea, dopo aver percorso sotto la pioggia un ripido sentiero, unica via d’accesso a Barbiana. È proprio confinato in quel niente che fonderà una Scuola popolare dedicata ai giovani figli di operai, contadini, e a tutti quei ragazzi che dalla Scuola statale erano stati respinti.

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Facciamo un passo indietro per cercare di capire chi era questo prete scomodo a tal punto da essere esiliato. Lorenzo Milani Comparetti nasce il 27 maggio 1923 a Firenze da Alice Weiss, di origine ebraica e Albano Milani. Entrambi esponenti dell’alta società e agnostici offrono ai figli un’educazione laica; Lorenzo segue il corso di studi Classico e si appassiona all’arte. Eppure, invece di proseguire nella carriera universitaria, all’età di 20 anni esprime la volontà di entrare in Seminario, scelta che i genitori non ostacoleranno. In questo periodo emerge quel suo carattere ribelle agli schemi e alla formalità che sempre lo contraddistinguerà come “nota fuori dal coro” e lo porterà inevitabilmente a scontrarsi con i suoi superiori, in particolare per quanto riguarda l’insegnamento delle Sacre Scritture.

Nel 1947, ordinato prete, viene indirizzato per il suo primo incarico a Montespertoli e successivamente nella parrocchia di San Donato di Calenzano. Qui crea una prima scuola popolare e si sveste di tutti i privilegi che la famiglia avrebbe potuto offrirgli, nell’intenzione di vivere povero tra i poveri. Uno dei primi giorni di scuola si esprimerà così: “Vi giuro che vi dirò sempre la verità anche quando non fa onore alla mia ditta Chiesa”. Verità che crea spaccature e divisioni nel mondo tradizionale cattolico di cui don Milani si sentirà sempre parte, pur dovendo lottare per essere riconosciuto tale.

Nel 1956 nasce la scuola di Barbiana per sei ragazzi del paese che, terminate le elementari, sarebbero stati avviati all’inserimento nel mondo industriale. Ciò che don Lorenzo aveva più a cuore era la diffusione di un sapere vario e strettamente collegato alla realtà, alla vita fatta di esperienze concrete che ognuno di quei ragazzi doveva affrontare come cittadino Italiano. Già a dodici anni i pluribocciati dallo Stato, che stava commettendo l’errore di “far parti uguali tra disuguali” senza tener conto dello svantaggio culturale da cui partiva la maggioranza dei ragazzi, venivano ricacciati nei campi o mandati a lavorare anche all’estero per dare un sostegno economico alle famiglie.

Invece nella scuola di don Milani i ragazzi avevano l’opportunità di capire l’importanza di ragionare con la propria testa, al di là degli schieramenti politici e di classe, di valutare argomentando le loro idee, di scoprire la ricchezza del potenziale umano. Leggevano insieme il giornale e la posta per imparare l’italiano, studiavano le lingue straniere ascoltando le canzoni, entravano a contatto con esperti di varie materie, costruivano da sé materiali utili per conoscere la geografia o sviluppare fotografie. Le lezioni si tenevano 365 giorni l’anno per 12 ore, perché per quei giovani “andare a scuola era meglio che restare nei campi”. È una scuola unica, definita classista perché dedicata agli ultimi nella scala sociale, indipendentemente dal fatto che fossero comunisti, membri di sindacati, credenti o lontani dalla Chiesa. Il motto di Barbiana è “I Care”, mi importa, ho a cuore “il problema degli altri che è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.

Per rendere nota a tutti la situazione di disuguaglianza sociale di cui l’Italia soffriva, a partire dal luglio del 1966 i ragazzi guidati dal loro Priore, così erano soliti chiamarlo, cominciano a scrivere Lettera a una professoressa, che sarà pubblicato nel maggio dell’anno seguente. Ecco come Pasolini definisce in un’intervista questo esempio di letteratura collettiva: “Fa ridere da soli, e nello stesso tempo immediatamente dopo aver riso  viene un nodo alla gola, addirittura le lacrime agli occhi tanta è la precisione e la verità del problema che si pone”. Ed è vero, le parole della Lettera sono severe, taglienti e profonde nella loro semplicità. Rappresentano un’Italia che forse stava correndo troppo in fretta per inseguire il miracolo economico, trascurando e lasciandosi alle spalle tutti i “Gianni” (ragazzi analfabeti, figli di poveri operai e contadini) troppo distanti dal mondo elitario e superficiale dei “Pierini” ai quali la vita non chiedeva altro se non di recitare il proprio ruolo tra gente simile a loro.barbiana 4

Don Lorenzo Milani pubblicò alcuni scritti tra cui Esperienze pastorali e L’obbedienza non è più una virtù. In particolare, per il pensiero espresso in una lettera rivolta ad alcuni cappellani militari circa l’obiezione di coscienza venne inizialmente assolto e poi  condannato in ricorso nell’ottobre del 1967 con l’accusa di apologia di reato. Don Lorenzo moriva il 26 giugno dello stesso anno a Firenze, dopo 7 anni di malattia.

In conclusione riporto ora uno stralcio del discorso tenuto a giugno di quest’anno da Papa Francesco per la prima volta in visita a Barbiana, in commemorazione dell’operato di don Milani a 50 anni dalla sua morte: “Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole. Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso, e di dare espressione alle istanze profonde del proprio cuore, come pure alle attese di giustizia di tanti fratelli e sorelle”.

L’insegnamento di questo grande educatore, sacerdote ispirato dalla forza del Vangelo, chiama in causa anche noi oggi e lo fa con la stessa insistenza con cui don Milani andava a bussare nelle case di Barbiana, per spiegare ai genitori che era importante che i figli frequentassero la Scuola e si costruissero un futuro migliore.

Per approfondimenti:

“Lettera a una professoressa” dei ragazzi della Scuola di Barbiana, Libreria Editrice Fiorentina.

“Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana” di Michele Gesualdi.

“Barbiana ’65 – La lezione di Don Milani” un film documentario di Alessandro G.A. D’Alessandro (2017).

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