Deserti alimentari: le principali problematiche
Il dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti stabilisce che attualmente sono circa 25 milioni gli americani che vivono nelle cosiddette food desert, tra questi la maggior parte sono afrodiscendenti e latinos. I deserti alimentari sono aree in cui le persone hanno un accesso molto limitato, o addirittura nullo, a cibo sano e nutriente. Le scarse opportunità di fruire di cibo sano derivano dall’’inesistente coordinazione tra società civile, politica e scienza, che spesso si verifica in queste zone. Ad esempio l’Arkansas, nel sud degli Stati Uniti, registra il più alto numero di contee non metropolitane qualificate come deserti alimentari.
Difficoltà connesse
Per queste ragioni le persone corrono un alto rischio concernente malattie quali obesità, diabete e problemi cardiovascolari. Siffatte problematiche divennero prioritarie anche durante la conferenza su fame, nutrizione e salute tenutasi presso la Casa Bianca nel settembre del 2022. Nelle suddette aree urbane, qualificate come food desert, mancano di fatto supermercati e negozi in cui trovare frutta, verdura, cibo fresco e biologico. Inoltre inefficaci servizi di trasporto pubblico non permettono di raggiungere altrove gli stessi luoghi. Questa condizione favorisce quindi il consumo di cibo preconfezionato, ricco di conservanti e poco nutriente che è possibile reperire nei fast food e minimarket. Questi ultimi in particolare sono edificati sul modello di stazioni di servizio, dislocati nella zona stessa.
Tuttavia per poter correttamente qualificare un deserto alimentare sono necessari ulteriori e preoccupanti criteri. Nelle suddette aree infatti il tasso di povertà deve essere maggiore o uguale al 20%. In aggiunta almeno 500 persone devono vivere a oltre un miglio dal più vicino negozio di alimentari. È importante evidenziare come il basso reddito e la povertà siano deleteri sotto molteplici aspetti. Impediscono infatti non solo di raggiungere cibo sano e genuino ma anche di acquistarlo periodicamente per poter condurre uno stile di vita in buona salute.
Qual è l’origine del problema?
Questa situazione economica di precarietà e bisogno è sintomo di un contesto urbano che presenta poche e infruttuose opportunità di lavoro in grado di garantire sussistenza. Inoltre non mette a disposizione adeguati quartieri sicuri e a misura d’uomo, idonei a offrire agli abitanti mezzi pubblici e alloggi sicuri efficienti. Michelle Obama nel 2016 tentò un intervento in materia, per combattere il problema endemico dei food desert e arrestarne l’espansione anche in altre regioni. Alcune tra le più grandi catene alimentari, tra cui Walmart, annunciarono infatti che avrebbero finanziato e gestito negozi nelle aree di massimo degrado. Tuttavia non si raggiunse il risultato sperato perché molti marchi chiusero decine di negozi e la situazione peggiorò.

Ciononostante alcuni ricercatori e scienziati presero in maggior considerazione il problema rilevandone alcuni aspetti fondamentali. In primo luogo alcuni di loro, tra cui Raj Patel, ricercatore in sistemi alimentari presso l’Università KwaZulu-Natal in Sudafrica, affermò che i deserti alimentari non sono naturali ma, al contrario, l’impossibilità di garantire accesso a cibo sano e controllato è frutto di intenzionali scelte politiche. In aggiunta le comunità maggiormente colpite sono di colore a basso reddito o minoranze etniche a maggior rischio. A causa infatti delle condizioni igienico-sanitarie dei quartieri nei quali risiedono, sono principalmente esposte a fattori patogeni e ambientali dannosi. Il fenomeno è quindi correlato in parte alla diseguaglianza economica e sociale causata da scarse politiche economiche redistributive e in parte a pratiche discriminatorie del redlining, in atto a partire dagli anni ‘30.
Cosa si intende con il termine redlining?
Il redlining, più precisamente, è la pratica di negare servizi e prestiti nei quartieri cosiddetti “pericolosi”, che vengono classificati come poco fruttiferi e non adatti a qualsivoglia investimento. Ancora oggi molto attuale, conobbe il suo massimo sviluppò subito dopo la crisi del 1929, diffondendosi a macchia d’olio in tutti gli Stati Uniti.
Il governo federale redasse una mappa in collaborazione con alcune tra le più importanti banche in cui ad ogni quartiere venne assegnato un diverso livello di rischio. Chiunque avesse voluto investire e acquistare immobili avrebbe quindi potuto valutare dove fosse maggiormente conveniente. I quartieri che presentavano un rischio più elevato erano quelli a maggioranza afroamericana o ispanica, mentre quelli a maggioranza bianca erano sicuri e desiderabili. Quindi, il criterio che determinò la pericolosità dei quartieri stessi per gli investitori fu su base meramente razziale, e ciò ebbe come conseguenza l’abbandono di alcune zone, senza che venissero forniti servizi fondamentali per gli stessi abitanti.

Possibili soluzioni
Tuttavia è corretto rilevare come negli ultimi anni stiano prendendo piede iniziative volte a combattere il fenomeno dei deserti alimentari, che è sempre più in espansione. In Ucraina, ad esempio, i bombardamenti ai campi dove prima si coltivava orzo e frumento, l’interruzione delle forniture alimentari e, di conseguenza, la chiusura di molti negozi hanno portato alla formazione di vere e proprie zone deserte, senza più alcun tipo di servizio assistenziale.
Gli interventi di miglioramento permettono di acquistare cibi sani e biologici alle persone che vivono le suddette situazioni disagiate. Tutto ciò grazie a “mercati della beneficienza”, negozi senza fini di lucro e innovazione scientifica, di cui è esemplare la tecnologia idroponica. Introdotta negli anni ’60 dell’800 è tutt’oggi sviluppata da molte aziende del settore, tra cui Levo, con sede nel Connecticut. Grazie a soluzioni acquose ricche di sali nutritizi permette di fare agricoltura di qualità senza l’utilizzo del suolo e con basso consumo di acqua.