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Defending Right and Wrong #2-Torturare chi terrorizza?

(La polizia ha in custodia da ore un uomo ritenuto essere il possibile responsabile di un imminente attacco terroristico che sta per consumarsi in un tratto della metropolitana della città. Per ore l’uomo è stato interrogato, ma non ha lasciato trapelare nessuna informazione e le forze dell’ordine sono ai ferri corti. Se l’uomo continuasse a non cedere, un ordigno potrebbe esplodere da un momento all’altro nel cuore della città, e nulla potrà essere fatto per evitare la tragedia finché non si riusciranno a identificare tutti i dettagli del caso. Le alternative ancora da prendere in considerazione scarseggiano e una delle ipotesi più estreme, ma si spera efficace, sarebbe torturare l’uomo per ottenere quelle informazioni e salvare migliaia di innocenti…)

La scena ipotetica appena descritta è un esempio costruito ad hoc di un genuino dilemma etico privo di una soluzione immediata: potremmo giustificare moralmente la tortura in casi come questi? Potremmo considerarla una “buona” soluzione al nostro problema o sarebbe un’alternativa che in nessun caso potrebbe essere giustificata? La difficoltà del caso sta proprio nel modo in cui ci viene presentato, ossia, nella presenza costante, qualsiasi decisione si prenda, della sgradevole e permanente sensazione di aver sacrificato o sbagliato qualcosa. Torturare il terrorista salverebbe migliaia di persone, ma significherebbe infliggere al sospettato dolore e sofferenza in maniera deliberata; non torturarlo, invece, non implicherebbe un trattamento ingiusto, ma vorrebbe dire lasciar morire migliaia di persone innocenti.

Gli studenti protagonisti di questo primo dibattito cercheranno di intraprendere entrambe le vie argomentative e di vestire gli abiti di difensori e oppositori della mozione. Sono qui con loro adesso, e con tutti gli studenti del corso di Ethics of international relations dell’Ateneo pavese. A questi quattro ragazzi spetta un compito doppiamente difficile: dovranno esporre le proprie tesi in lingua inglese (tutto il loro corso di laurea magistrale è tenuto in lingua) e Mozione: saranno anche i primi dell’anno a dibattere in pubblico.

Mozione: la tortura può, in alcuni casi, essere giustificata moralmente?

Primo Proponente

(10 minuti)

“Prima di iniziare vorrei spiegarvi come intendiamo difendere la mozione. Il punto centrale della nostra difesa è l’eccezionalità del caso: noi consideriamo la tortura moralmente giustificabile solo in casi molto specifici. Non la consideriamo giustificata su basi generali, ma solo in casi estremi. A nostro parere la tortura non va considerata come un modo per ottenere vendetta o una forma di punizione, ma come un mezzo per prevenire catastrofi considerevoli. Non è una regola ma un’eccezione, e il nostro caso esempio è un’eccezione: abbiamo un presunto terrorista tenuto in custodia perché ritenuto in possesso di vitali informazioni su un imminente attacco terroristico, ma egli non è disposto a collaborare. Abbiamo un terrorista pronto a sacrificare la sua vita per la propria causa e non abbiamo altre possibilità o modi per smuoverlo, perché in quanto terrorista è razionalmente programmato per non cedere e rimanere presente a se stesso. La tortura, in questo caso, sembra essere “the last resort” per salvare la situazione. Ora vorrei chiedervi se, in una situazione simile, preferireste rimanere immobili e impotenti di fronte all’imminente tragedia o se invece non preferireste provare il tutto e per tutto, ogni mezzo possibile per prevenire la catastrofe. Probabilmente è difficile decidere se non si è coinvolti, allora vi chiedo di immaginare che la catastrofe stia per consumarsi in una metropolitana che quotidianamente i vostri cari prendono per andare al lavoro o a scuola, sono certa che tutti voi vorreste fare di tutto per cercare di salvare le loro vite, e non solo, ma di salvarli da una “terribile” morte, perché è anche di questo che stiamo parlando. Noi tendiamo a considerare la tortura come qualcosa di aberrante e macabro, ma non abbiamo la stessa considerazione se pensiamo nell’immediato alle vittime degli attacchi terroristici. Non c’è una grande differenza in realtà, la sofferenza inflitta alle vittime non è lontana da quella inflitta sotto tortura al terrorista. La differenza sta nel fatto che da un lato vi è una sola persona, dall’altro migliaia di innocenti, senza considerare l’infinita scia di sofferenza che il terrorismo crea nelle famiglie e negli amici delle vittime della tragedia. Mentre l’obiettivo del terrorista è quello di infliggere dolore e sofferenza, l’obiettivo della tortura, in questo caso estremo, non è semplicemente quello di infliggere dolore o violenza di per sé ma quello di evitare la catastrofe. In questi casi, noi consideriamo la tortura non come qualcosa che compromette i diritti fondamentali, ma come qualcosa che massimizza il rispetto di questi diritti: torturando una sola persona, ne possiamo salvare altre mille. Penso sia ipocrita sostenere il rispetto dei diritti di una sola persona e non rispettare lo stesso diritto di cui sono in possesso tutte le mille vittime dell’attacco imminente. In queste situazioni estreme è ovvio purtroppo che qualcosa vada sacrificato o compromesso, dobbiamo però scegliere cosa, se la vita di migliaia di innocenti o quella di un singolo uomo che innocente non è. Le vittime non hanno devoluto la loro vita a crimini di questo genere, ma potrebbero morire, il terrorista, invece, sopravvivrebbe e raggiungerebbe il suo scopo. Mi appello dunque al vostro buon senso: potreste vivere con la consapevolezza di aver deliberatamente compromesso tutti quegli innocenti? Siamo consapevoli che nella vita reale non ci sono situazioni o bianche o nere, ma vogliamo considerare la tortura come una grigia sfumatura nel mezzo. Noi siamo contrari alla tortura di per sé, ma nei casi in cui risulta essere l’unico mezzo che abbiamo per prevenire delle catastrofi, possiamo giustificarla.”

Primo Opponente

(10 minuti)

“Lasciate che vi spieghi di cosa noi intendiamo parlare qui oggi, non soltanto di tortura o di figli, padri e mogli di qualcuno, come detto prima, ma della vera nozione di diritti umani. Tutti questi esempi sulle sfumature di grigio o sull’ipocrisia non fanno altro che minare l’universalità e il presupposto incondizionato su cui i diritti umani si fondano. Questi esempi sul “far esplodere bombe” provengono dal secolo scorso e dal terrore che hanno portato con sé le guerre mondiali, e fu proprio a causa dell’errore, che tutti in principio supportarono i diritti umani. Hanno avuto bisogno di molto tempo e tenacia per essere accettati e ora il rischio sempre più reale è quello di tornare indietro. La tortura non è accettabile da un punto di vista deontologico perché mina la dignità umana, il vero cuore dei diritti umani, ma vogliamo ora provare a seguire il pro-team e ad argomentare da un punto di vista consequenzialista, sul piano reale. Vogliamo dimostrare che, consequenzialisticamente parlando, l’idea che la tortura possa essere possibile in casi estremi è, innanzitutto, improbabile, e che le reali conseguenze, se prendiamo in considerazione l’intero contesto sociale in prospettiva, sarebbero terribili. Lasciate che inizi mostrandovi una fallacia logica nell’argomentazione degli avversari. Innanzitutto la persona catturata e torturata potrebbe essere quella sbagliata: è improbabile che la nostra Intelligence conosca con perfezione il colpevole. Il 100% di sicurezza è una possibilità solo di un esperimento mentale ma non della realtà, e noi dobbiamo pensare al problema a livello reale. In secondo luogo, qui non parliamo della tortura medievale o di quella inflitta dal tribunale dell’Inquisizione, è un fatto complicato che coinvolge la medicina, ad esempio, e tutta una serie di abilità da praticare e sviluppare. E’ una vera e propria industria, quindi l’idea che la tortura di cui stiamo parlando sia un’eccezione riservata ad un singolo ed estremo caso non ha senso perché non è un pacchetto da utilizzare all’occorrenza ma un sistema da attivare su larga scala. Per avere successo bisogna muovere tutta la fabbrica della tortura, logicamente, quindi, non si può dire “lo faccio una volta e non lo faccio più”. I terroristi sono allenati a sopportare la tortura, c’è bisogno di farmaci specifici, di personale specializzato, e tutto questo è possibile solo se abbiamo istituzionalizzato la pratica anche a livello sociale: “one time torture” è impossibile. Infine, quello che il terrorista eventualmente torturato direbbe potrebbe essere falso. Non ci sarebbe tempo per testarlo, potrebbe essere tutto un suo piano e a quel punto anche il flebile vantaggio che sembrava eventualmente potesse avere torturarlo non sarebbe attendibile. Tutti questi erano esempi di incoerenza logica volti a mostrare come l’ipotesi della legittimazione della tortura sia fallace già solo in teoria.”

Secondo Proponente

(7 minuti)

“Voglio iniziare subito a rispondere alle argomentazioni della controparte. Conosciamo le vostre perplessità e le vostre obiezioni, le abbiamo considerate e valutate e siamo d’accordo con gran parte di queste. Noi, però, stiamo parlando del solo caso in cui abbiamo la certezza assoluta che il terrorista sia l’uomo in questione, quindi voglio ribadire che noi sosteniamo la tortura solo in questi casi di certezza. Vorrei anche sottolineare che ci sono differenti tipi di tortura, torture che lavorano sul sistema nervoso per far sentire l’uomo disorientato o isolato, o provocargli paura, per esempio. Sono sì tutte tipologie che procurano “dolore” ma non il genere di dolore che causa danni a lungo termine o irreversibili. So che ci sono grossi pericoli nel regolamentare la tortura, ma voglio ancora sottolineare che, nel nostro caso, ogni altra misura è stata presa e non ci sono più alternative disponibili o che richiedano altro tempo, perché l’urgenza è una delle caratteristiche fondamentali del nostro caso e purtroppo non sempre la democrazia e l’urgenza possono essere attuate allo stesso tempo. Sappiamo che negli USA la CIA pratica la tortura non alla luce del sole, e questo non ci permette di sapere cosa esattamente procurino ai prigionieri e quanta illegittimità venga approvata. E’ preferibile quindi uno Stato dove la tortura non avvenga al buio, ma sia legalizzata negli esclusivi limiti dei casi estremi, legalizzata ma regolamentata. Oltretutto, sappiamo bene che l’opinione comune quando pensa alla tortura fa riferimento a esempi presi dal grande e piccolo schermo, esempi carichi di esagerazione che non rappresentano affatto la realtà in maniera veritiera. Ora mi interessa chiarire la differenza tra il concetto di “morte” e quello di “tortura”. La morte è ben lontana dall’idea di pena temporanea, la morte è definitiva, è definitiva una sentenza di pena di morte, non è definitiva una pena temporanea come la tortura. E mi risulta curioso pensare allo shock che si provoca nell’opinione pubblica se si parla di tortura ufficializzata mentre si assiste al silenzio davanti alle torture presenti in prigione, di eguale se non peggiore patimento, considerate quasi consuetudine. Concludo qui il mio intervento.”

Secondo Opponente

(7 minuti)

“Vorrei iniziare rispondendo all’argomentazione che di più oggi è stata sostenuta. Questi “casi estremi” che dovrebbero legittimare moralmente la tortura sono mera fantasia, nella realtà non esistono situazioni simili dove c’è totale certezza. Abbiamo poi sentito parlare di mille esempi sugli USA e sulle serie tv etc etc. Vorrei fornire io ora degli esempi presi dalle ricerche di Amnesty International dove è chiaro, e senza ombra di dubbio, che la tortura è un fatto operante, e non in casi estremi. La tortura è spesso utilizzata per divertimento, per sottomettere, tutte situazioni volte a degradare e ad annullare l’essere umano in quanto uomo. Questi sono gli esempi da prendere in considerazione e non sono casi estremi ma la maggior parte dei modi in cui la tortura viene quotidianamente utilizzata. Questa è la realtà. Legalizzando la tortura, come il pro-team suggerisce, spaccheremmo il nostro mondo a metà: avremmo allora una parte devota al rispetto dei diritti umani, e contraria all’uso della tortura proprio per poter continuare a promuoverli, dall’altra, invece, leader ormai legittimati nei loro intenti meno ortodossi pronti ad utilizzare la tortura senza alcun tipo di rimorso.  La legalizzazione della tortura è essenzialmente un modo per governare in maniera non democratica. Quando brutalizziamo il sistema legale, legalizzando la tortura, noi brutalizziamo tutto il sistema il cui compito è controllare lo stato e quindi, di conseguenza, brutalizziamo lo stato intero. Il problema vero sarà contenere l’utilizzo della tortura entro i limiti consentiti ma come abbiamo già detto questi casi estremi sono irreali: una volta dato il potere allo stato, nessuno potrà sapere chi sarà il prossimo, le vostre famiglie forse, o voi stessi, e non potrete saperlo perché avete perso il controllo sullo stato avendo concesso quel potere, avete perso il controllo per sempre. Il problema dell’istituzionalizzazione è l’imprevedibilità. Noi possiamo anche ipotizzare che potremo continuare a controllare l’utilizzo della tortura ma non è detto che questo succeda: qual è la garanzia che non venga utilizzata altrimenti? Come diceva la mia collega, non sono mai situazioni vincenti ma compromessi, ma cosa vuol dire qui compromesso? Cosa si ottiene davvero su larga scala e in prospettiva dalla legalizzazione della tortura? Cosa vogliamo compromettere, compromettiamo i diritti di alcuni terroristi o compromettiamo i nostri stessi diritti? Penso che seconda opzione sia purtroppo la più probabile.  È davvero un’idea pericolosa questa da un punto di vista consequenzialista, pronta a spingerci verso un mondo dittatoriale e anti democratico, il mondo in cui viviamo ora, per fortuna, è il frutto del tentativo di evitare con forza questa ipotesi.”

 

Risultato votazione: Proponenti: 8

                                          Opponenti: 12

 

Dibattito in pillole:

Opponenti:

– Universalità del fatto: la tortura non è mai giustificabile perché non sarebbe mai né un fatto isolato (si azionerebbe invece su larga scala), né un caso estremo (sul piano reale è improbabile che sia la vera ultima risorsa).

– Prospettiva deontologica.

– Tortura come brutalizzazione del sistema: il suo uso effettivo è e punitivo e reiterabile (un mezzo consuetudinario).

– La tortura compromette i diritti fondamentali che per natura sono sempre inviolabili.

– Possibilità dell’errore

– Impossibilità di limitarne l’uso a priori.

– Istituzionalizzare la tortura lede la democrazia: non ci sarebbe più controllo, ma soltanto una dimensione di imprevedibilità.

Proponenti:

– Eccezionalità del caso: la tortura è giustificabile soltanto in casi specifici (una tantum) e estremi (l’ultima risorsa).

– Prospettiva consequenzialista.

– Tortura come mezzo preventivo: la sofferenza infitta non è l’obiettivo ma un effetto collaterale.

– La tortura massimizza il rispetto dei diritti: preserva il diritto di molti rispetto a quello del singolo.

– Possesso di certezza assoluta.

– La tortura funziona in una dimensione di urgenza.

– La tortura va legalizzata (è utilizzabile se necessaria) ma va regolamentata e controllata.

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