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David di Donatello 2016 – Il ritorno del Cinema

C’è chi dice che il cinema italiano sia morto. C’è chi dice che il cinema italiano sappia fare solo due generi: commedia e dramma. Il David di Donatello quest’anno prova il contrario e i tabelloni dei cinema degli ultimi mesi confermano la stessa cosa. Il Cinema, se mai se n’era andato, è tornato e ci sta proponendo delle perle che, forse patriotticamente, non si vedevano da tempo sul panorama internazionale. Parlando degli ultimi film in termini temporali, stiamo riscoprendo il cinema di genere che tanto ci ha reso famosi con gli spaghetti western prima, con gli horror di Bava, poi. Oggi vediamo rappresentato il mondo delle corse con Veloce come il vento, che è ancora nelle sale e merita sicuramente una visione. Abbiamo incontrato poi i superpoteri con Lo chiamavano Jeeg Robot. E ancora, ci hanno presentato il fantasy tratto dalla tradizione tutta italiana, napoletana per esattezza, col capolavoro di Gianbattista Basile, Lo cunto de li cunti, portato al cinema come Il racconto dei racconti con un cast d’eccezione, europeo e non solo italiano, e una regia nelle mani di Garrone che esalta l’ambientazione spesso sorprendente.

Ma tornando alla 61esima edizione del Festival, proverò a dire la mia.

Al miglior film sono stati candidati i pezzi da novanta, che nel peggiore dei casi sono comunque film godibilissimi. Spaziamo da film che filano con un ritmo sostenuto  come Il racconto dei racconti, ad altri più lenti e un po’ pretenziosi come Youth. Nel mezzo c’è l’ultima fatica di Caligari, Non essere cattivo, poi Perfetti sconosciuti che dilata i tempi di una cena in maniera perfettamente realistica lasciando anche una certa sorpresa e un senso di delusione finale, non verso la pellicola, ma nei sensi dei protagonisti. Infine Fuocoammare, che porta in scena la quanto mai attuale questione migranti vista da chi l’affronta quotidianamente. Sono tutti film interessanti, ma pistola alla tempia sceglierei Il racconto dei racconti per essere riuscito ad unire una tradizione italiana alla nuova realtà europea. È questo il messaggio che voglio cogliere dalla pellicola, ma non di meno è un film dall’apprezzabile valore estetico e non solo politico, se così vogliamo definirlo.

Si passa poi al miglior regista dove ritroviamo gli stessi identici film appena citati e qui la scelta si complica. La regia di Sorrentino (Youth) è impeccabile, ma tende ad essere barocca, indugia, si ferma, medita e alla fine forse annoia. Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese poggia più sulla sceneggiatura che sui guizzi di genio di un direttore. Non per questo deve essere stato semplice girare intorno ad un tavolo muovendo gli attori in una coreografia credibile. Punto invece su Gianfranco Rosi (Fuocoammare) e Claudio Caligari (Non essere cattivo; essendo scomparso da poco è possibile che il fattore sentimentale o anche il voler dare un ultimo omaggio al maestro possa influire sulla votazione).

Sul miglior regista esordiente cambiamo registro. Ammettendo di non poter parlare per la totalità dei film, credo che si punterà su Mainetti e il suo Lo chiamavano Jeeg Robot. Primo perché è un film che, detto fuori dai denti, merita; secondo perché ha azzardato. Ha messo di tasca propria e ha stravinto, grazie anche ad un marketing oculato.

Alla miglior sceneggiatura ci imbattiamo negli stessi film di prima senza Fuocoammare, ma con l’ormai famigerato Lo chiamavano Jeeg Robot. Nonostante la bellezza della storia, non credo che un adattamento come quello di Garrone (Il racconto dei racconti) possa meritarsi un simile premio, dato che rielabora semplicemente un’opera preesistente. Non di meno è stato fatto un lavoro di incastro fra le varie novelle, analizzando e selezionando quelle che meglio si adattano al grande schermo. Come preannunciato, il premio non può che andare, sempre con la stessa pistola alla tempia, a Perfetti sconosciuti. Ma ripeto, la gestione di tempi dilatati, la messa in scena di situazioni reali, il plot twist finale, personaggi ben caratterizzati fanno sì che si meriti il premio e anche una visione.

Procediamo con un po’ più di velocità e passiamo alla migliore attrice, dove fra tutte spicca Ilenia Pastorelli alla sua prima prova né Lo chiamavano Jeeg Robot, nel quale riesce ad interpretare in maniera convincente una ragazza con problemi psicologici e psichiatrici. Credibile, tenera, carina anche, vera e propria chiave di volta della storia.

Diventa più arduo scegliere il miglior attore; notiamo poi come su cinque candidature i film effettivi siano solo tre: Lo chiamavano Jeeg Robot, Non essere cattivo e Perfetti sconosciuti. Notiamo anche come Marinelli sia presente in due di questi film, il primo e il secondo. Forse condizionato da questo, punto sulla sua performance senza però disdegnare gli altri (Santamaria, Borghi, Mastandrea, Giallini).

Ok, possiamo fermarci qui o diverrebbe piuttosto lungo e noioso. Per saperne di più lascio il link a Wikipedia, e chissà che non ne abbia azzeccato almeno uno.

I premi verranno consegnati oggi, 18 Aprile, e sarà possibile seguire l’evento in chiaro su canale Tv8 del digitale terrestre.

 Ad ogni modo, sono tutti film che meritano una o più visioni. Recuperateli senza farvi condizionare dal solito “i film italiani non mi piacciono”.

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