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Dario Fo, un artista popolare

Una vita nel mondo del teatro: da quando ha vent’anni circa Franco Parenti avverte il suo potenziale e lo getta sotto le luci della ribalta; o meglio, degli studi radiofonici. Lui è un neodiplomato dell’Accademia di Brera, nessuna esperienza nel teatro professionistico, ma una grande passione per la scena e un’attitudine innata a suscitare il riso nel pubblico. Avvengono così, negli anni ’50, i due incontri più importanti della sua vita: quello con il teatro, ovviamente, e quello con Franca Rame, nella compagnia di Parenti. Un unico colpo di fulmine, da cui nascerà un’unione artistica che durerà tutta la loro vita.

Fin da subito, il suo lavoro si è distanziato dalla tendenza del teatro italiano contemporaneo, che in quegli anni viveva l’intenso sperimentalismo delle Avanguardie e si ingabbiava in forme sempre più auliche ed autoreferenziali, difficilmente fruibili da un pubblico poco preparato in questo ambito. Dario Fo, in un mondo artistico che si allontanava sempre più dalle platee, ha invece cercato il contatto con il suo pubblico, individuo comune tra gli individui comuni, e lo ha fatto in modo nuovo recuperando i generi teatrali originari, quelli che nacquero nel Medioevo dalla gente comune e per la gente comune: il teatro dei giullari e delle sacre rappresentazioni, la favola, i generi di carattere goliardico e satirico. La riscoperta della tradizione teatrale non mosse dall’esigenza di rinnovare il teatro rivoluzionando vecchie forme, ma dal bisogno di dare un taglio narrativo ai suoi testi; quale forma migliore del grezzo teatro degli inizi, che proprio sul fascino della parola raccontata fondava il suo successo nel popolo. Il carattere “democratico”, però, non pregiudicò la raffinatezza del suo lavoro, perché Dario Fo lavorò tremendamente sull’espressione corporea e facciale, tanto da ricordare molto lo stile dei Comici dell’arte (a cui si richiama anche nel suo lavoro più famoso: Mistero buffo). Anche grazie all’utilizzo del grammelot, ibrido linguistico artificiale di più dialetti, il suo teatro assunse una forte impronta narrativa e popolare, adatta a qualsiasi target; come accadeva per le compagnie familiari di inizio secolo, di cui sua moglie Franca era una delle ultime esponenti. Non c’è da stupirsi se è conosciuto come uno dei più originali esponenti del teatro italiano del Novecento e uno dei più amati dal pubblico. L’umanità del suo teatro è stato uno dei motivi del suo successo.

Vinse il Premio Nobel per la letteratura del 1997 «perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi». L’impegno sociale nel solco dei movimenti di sinistra è stato imprescindibile; del teatro medievale, dunque, viene ripresa anche la funzione didattica, non più nelle piazze e nei loggiati delle chiese, ma nelle case popolari, e al di fuori dei teatri stabili istituzionali “borghesi”, per raggiungere una fetta di pubblico allora ignorata dalla cultura ufficiale ed educarla su temi sociali, per informare, per sviluppare uno spirito critico nelle masse e fare in modo che non venisse più oppressa dai poteri forti. I suoi testi, da Morte accidentale di un anarchico a Gli arcangeli non giocano a flipper e Non si paga, non si paga!, sono intrisi di argomenti di attualità politica e cronachistica. Nell’Italia democristiana e degli Anni di piombo questo significava incorrere nella censura, come capitò con la RAI, o quando le forze dell’ordine intervennero per fermare un loro spettacolo.

Quando mi sono laureata, mi hanno regalato il Nuovo manuale minimo dell’attore, l’ultimo libro scritto da Franca e Dario, terminato da quest’ultimo dopo che lei morì nel 2013. Il libro stesso è l’epopea del loro teatro, un racconto in cui gli autori stessi diventano protagonisti di un testo di teatro narrativo, il cui oggetto sono vicissitudini della loro compagnia, come se fossero le avventure picaresche di una compagnia d’altri tempi, quelle che, quando non esistevano ancora i teatri stabili, giravano l’Italia di paese in paese. Ciò che affascina del teatro di Fo è questo: l’amore per la tradizione popolare del teatro, che si unisce all’amore per l’arte e per l’umano e lo riscatta dalle ingiustizie di cui è vittima.

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