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Daniel Pennac – Il ritorno dei Malaussène

Il Salone del libro di Torino (18 – 22 maggio) è da sempre un appuntamento imperdibile per tutti i bibliofili che al solo sentire il profumo di un libro nuovo rischiano un colpo apoplettico per l’emozione. E l’emozione si fa più forte se tra gli ospiti di queste giornate vi è Daniel Pennac. Intervistato da Stefano Montefiori (corrispondente del Corriere della Sera a Parigi) l’autore parla del nuovo romanzo (Il caso Malaussène – Mi hanno mentito) che già fa battere il cuore dei fan della famiglia Malaussène.

Le vicende della famiglia Malaussène iniziarono nel 1985 con la pubblicazione del primo romanzo della saga (Il paradiso degli Orchi) e sembravano concluse con l’ultimo uscito nel 1998 (La passione secondo Therese). Ecco dopo vent’anni ricomparire Benjamin e la sua famiglia – tribù alle prese con una realtà che non è certo rimasta ferma a guardarli! Infatti, dice Pennac: “Non più il comunismo in Francia, la telefonia mobile non era così sviluppata e Internet era solo ai suoi inizi”. Eppure in mezzo a tutti questi cambiamenti l’interiorità dei personaggi non è cambiata … il che è un po’ una follia.

In mezzo a questa frenesia di novità i protagonisti rimangono in un certo senso eccessivamente stabili. Sono degli archetipi. Vanno quindi ad incarnare quel bisogno di certezze che è parte della vita di ognuno, divenendo incarnazione di una convinzione. Ma nel loro incarnarsi sta anche il loro lato comico, a tratti ridicolo.

Alceste Fontana (la nouvelle entrée) è una tra le tante figure archetipiche e comiche del romanzo. La comicità che lo caratterizza nasce dalla beffa che lo coinvolge. Alceste, il quale rappresenta l’uomo forte delle sue certezze, ha scoperto tramite Internet la sua verità, cioè che è stato adottato. Ha sempre vissuto una menzogna e il web l’ha aiutato a “vedere meglio”. Ed ecco che Pennac, non scadendo mai in tristi rimpianti e uggiosi passatismi, parla di un protagonista di tutte le nostre vite: Internet. Esso ha reso la menzogna più difficile a farsi (vedi il caso di Alceste che con Internet ha compreso l’inganno in cui viveva), ma al contempo è riuscito a ricrearla meglio di prima. Il punto non è però Internet ma la questione del reale e della sua (vera) natura.

Si passa così ad un punto centrale del romanzo e ad un tema che investe tutta la saga della famiglia Malaussène. A tal proposito Pennac avverte l’esigenza di raccontare al pubblico un aneddoto. Erano gli anni 80 e dei Malaussène neanche l’ombra. Daniel guidava e la radio era accesa. Trasmetteva una delle conferenze che J. Lacan era solito organizzare, invitando intellettuali di punta. Il filosofo francese tentava di definire la natura del reale, dicendo che esso è ciò che stona. Colpito profondamente da simili parole, Pennac decide di approfondire, giungendo alla conclusione che, se questa è la realtà, la menzogna è quel che cerca di coprirla.

Ma – c’è sempre un ‘ma’ con questi francesi! – la realtà deve fare i conti anche con l’hasard, il caso. Il maestro del racconto Pennac delizia il pubblico con un altro aneddoto. Racconta di quando Vladimir Nabokov gli “bisbigliò” nell’orecchio la più importante delle lezioni che un romanziere deve conoscere, la più difficile delle teorie da mettere in pratica: far andare avanti il racconto a colpi di hasard generando nel lettore la voglia di continuare a leggere, la curiosità di girare pagina. Non si dimentichi che Pennac ha spudoratamente autorizzato il lettore a non finire un libro se questo non piace. Egli deve dunque far i conti prima che con Nabokov con le sue stesse teorie.

Tra l’inganno e il caso si rischia di rimanere intrappolati. Che fare? Semplice. Bisogna avere una nuova concezione del reale, non prefabbricata secondo il desiderio di coerenza che è alla base della maggior parte degli errori umani. Infatti, nel romanzo, il rapimento di George Lapietà, dirigente della compagnia LAVA, si scoprirà essere un’istallazione, un’opera d’arte che gli ispettori e la polizia faticheranno a comprendere come tale perché troppo legati ai loro schematismi di comodo, coerenti certo, ma inutili e incapaci.

Pennac non si risparmia neanche in materia di politica, pur ammettendo con molta umiltà che teorico di materia non è. La realtà del romanzo, continuamente compromessa sotto i colpi del caso, non è poi così lontana da quella che oggi viviamo. L’immigrazione è uno spettro sempre più consistente e il caos che genera fa paura, portando il popolo ad orientarsi (nuovamente) verso forme di Nazionalismo che diano la stabilità desiderata. Eppure, in Francia, la maggior parte degli abitanti è figlio di immigrati dei primi del Novecento.

Daniel si è reso conto di aver detto anche troppo sul suo romanzo, colpa delle impellenti domande di Stefano. Così, in ultimo, si allontana un po’ dal parlare del romanzo e arriva a discutere del suo statuto di scrittore. A tutte le mani (diciotto, non poche!) che si alzano alla richiesta di Pennac di quanti in sala vorrebbero far di mestiere il suo, il romanziere francese rivolge il suo acuto consiglio. È necessario esaminare la voglia che si ha di scrivere perché spesso essa si rivela voglia di aver scritto. E sopra ogni cosa è necessario tener presente il ruolo che la Fortuna gioca. La dea bendata è capricciosa, volubile, facile a cambiar di posa. E con una melodiosa risata, alla francese, dice Pennac: “Io di fortuna ne ho avuta molta e se i miei romanzi in Italia hanno successo… beh… il merito è della bravura di Yasmina Mélaouah, la traduttrice dei miei libri!”.

Tommaso Romano

Redattore per «Inchiostro». Studente di «Antichità Classiche e Orientali» presso l’Università di Pavia, è appassionato di troppa roba. Cento ne pensa, cento ne fa, cento ne scrive (o vorrebbe).

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