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Da Casa di Bambola alla casa delle bambole, Nora non era femminista

Se Nora passa tutta la storia a mentire perché dovremmo crederle? Perché dovremmo credere che sia lei la povera vittima? Andrèea Ruth Shammah, regista e curatrice della traduzione e dell’adattamento del testo di “Una casa di bambola” in scena al Teatro Franco Parenti di Milano dal 28 Febbraio al 12 Marzo, va alla ricerca di una ossimorica “rivisitazione fedele”, intenzione di fedeltà assoluta alla drammaturgia e di rivisitazione rispetto alla tradizione femminista che accompagna il dramma ibseniano.

La regista non vede in Nora una eroina del femminismo, non ricalca la visione del 1917 di Antonio Gramsci che considerava la rivolta della protagonista una elevazione morale del ruolo della  donna nella società borghese di fine ‘800, ma piuttosto si ricollega all’analisi fatta dallo psicanalista Georg Groddek in un saggio del 1910 (ripresa in tempi più recenti da Roberto Alonge), analisi nella quale emergevano delle “incongruenze” della protagonista . Da “Casa di bambola” alla casa delle bambole, da Nora-bambola vittima manovrata prima dal padre e in seguito dal marito a Nora-bambina viziata e manipolatrice che gioca con le sue bambole facendole agire come più la aggrada. Nora non è innocente ma fa parte dei colpevoli, non è una eroina femminista anzi ne è ben lontana. La regista ricostruisce un credibile mondo borghese attraverso una lettura del testo ibnesiano attenta e scrupolosa. Emergono così le contraddizioni, l’ipocrisia e l’anti-femminismo caratteristici del periodo e della società borghese dell’epoca.

In un allestimento che richiama  una vera e propria casa delle bambole ottocentesca in stile vittoriano ed accoppiamenti cromatici, sulle note di un glockenspiel entra in scena la protagonista, interpretata da una bravissima Marina Rocco, e fin da subito abbiamo la mostrazione dei due volti di Nora, l’allodola allegra innocente e cantante (fischietta La regina della notte di Mozart quasi a preannunciarci la sua centralità) e la moglie tormentata in attesa della “cosa meravigliosa”. Durante tutta la rappresentazione avremo il continuo scivolamento da una “versione”  di Nora all’altra con dei disvelamenti del limen nei momenti più intensi. Marina Rocco disegna con abilità e intensità le sfaccettature psicologiche di una Nora (biondo platino alla Kim Novak in Vertigo di Hitchcok, celebre “doppio” femminile)  che per tutto lo spettacolo non cambia, non cresce, non si trasforma, rimane la bambina viziata che si mostra ingenua mentre tenta, in sottofondo, con intelligenza straordinaria a manipolare ciò che la circonda e infine scappa infastidita per non aver ottenuto ciò che voleva, per non aver ricevuto la “cosa meravigliosa”, non di certo per farsi valere.

Filippo Timi uno e trino (e anche di più) interpreta invece tutti i personaggi maschili in una sorta di inventario dell’intero genere in modo da simboleggiare non uno solo, o tre, ma tutti gli uomini. Timi è bravissimo a variare velocemente da un personaggio all’altro, quasi un esercizio tecnico, con delle piccole caratterizzazioni di inflessioni vocali o di postura, la voce nasale e la claudicazione di Rank, le braccia incrociate e lo sguardo torvo di Krogstad, ma sono equilibri fragili, transitori. Nei momenti concitati e quando interviene un accadimento che sollecita una reazione la risposta corporea di Torvald, Rank e Krogstad è volutamente similare, appare Timi che interpreta se stesso ancora prima di un personaggio. Focalizza e centralizza la scena su di sé con l’ausilio delle scelte registiche, interpolazione di canti, di balli, di libertà d’improvvisazione attraverso le quali mettere in mostra le sue straordinarie qualità facendo esplodere le rigide costruzioni dei personaggi del drammaturgo norvegese. Timi, che inizialmente sorprende apparentemente immerso completamente in Ibsen, è istrionismo puro, col passare delle scene l’immenso animale da palcoscenico straborda, dialoga col pubblico, entra ed esce dal personaggio, gioca con gli altri e con se stesso, canta My Funny Valentine, balla una tarantella che diventa una serie di tre pirouttes con giro a sinistra (si ringrazia F. per la definizione tecnica ndr). Prende sempre più spazio il personaggio maschile, il Timicentrismo è condizione incontrovertibile che può essere croce o delizia.

Un ottimo uso delle luci pastello, che segue attraverso cambi di tonalità la psicologia dei personaggi, e la costruzione di un interessante ambiente sonoro, con musiche di sottofondo che creano una suspense da noir, accompagnano la rappresentazione.

L’innovazione tematico-stilistica ibseniana ebbe portata sconvolgente e rivoluzionaria, il dramma borghese destò scalpore e oscenità fra i contemporanei e destabilizzò le fondamenta del teatro avviando il processo che condusse alla rivoluzione teatrale del novecento, Andrèea Ruth Shammah propende per una  rilettura “interna” dell’opera di Ibsen senza dialogo con l’aspetto politico. Da dramma borghese a commedia tragica, così viene definita dalla regista, dagli attori stessi in un momento della drammaturgia e sul libretto di presentazione, questa rilettura ammicca al pubblico lo fa ridere, divertire, lo coinvolge e intrattiene, è una piece ben fatta, ben scritta e ottimamente realizzata.

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di Henrik Ibsen

traduzione, adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah
con Filippo Timi 
 Marina Rocco nel ruolo di Nora
e con la partecipazione di Mariella Valentini
e con Andrea Soffiantini, Marco De Bella, Angelica Gavinelli, Paola Senatore
spazio scenico Gian Maurizio Fercioni
elementi scenici Barbara Petrecca
costumi Fabio Zambernardi in collaborazione con Lawrence Steele
luci Gigi Saccomandi
musiche Michele Tadini

 produzione Teatro Franco Parenti / Fondazione Teatro della Toscana

 

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