Attualità

Crescitalia: nei meandri della manovra. Cosa cambia, e cosa no.

 

di Giovanni Cervi Ciboldi

 

Lo stimolo dato dai nuovi incentivi all’impresa giovanile innesta un principio sicuramente lodevole. Rimosse le barriere all’iniziativa giovane, mettersi in gioco in Italia rimane però per molti più un incubo che un sogno. Al sud più che al nord. Senza una vera liberalizzazione delle professioni, un giovane tenderà infatti a percepire come meno rischiosa e più remunerante l’adesione a caste ad oggi ancora sorridenti e vigorose, piuttosto che rischiare del proprio e offrire lavoro regalando allo stato più della metà dei propri introiti in tasse. Sono ancora parecchi gli ostacoli dai quali il tentativo di instaurare un american dream tutto italiano non può prescindere: una regime fiscale opprimente e da riformare, che a sua volta influenza l’alto tasso di disoccupazione in un mercato del lavoro che penalizza i giovani e la piccola e media impresa, alla quale sono richieste capacità acrobatiche nel fronteggiare una pubblica amministrazione spesso inefficiente. Certo l’istituzione di una sorta di tribunale per le imprese va nella direzione di offrire maggiori stimoli all’investimento estero in Italia, con conseguente aumento dei posti di lavoro: ma se ci si aspetta che questo arrivi baldanzoso per essere schiacciato da tasse, burocrazia e dall’attuale mercato del lavoro, è bene chiarire che i passi da compiere sono ancora innumerevoli. Ed evidentemente i prossimi appuntamenti nell’agenda governativa mirano proprio a ridurre questi disincentivi, i quali devono essere però affrontati con maggiore forza di quanta non ne sia stata usata per contrastare i privilegi lobbistici. In fondo, l’unica liberalizzazione tout court rimane quella dei prezzi e degli orari di lavoro degli esercizi commerciali: una categoria comunque da sempre esposta ai precetti della concorrenza, con tutti i rischi e i giovamenti che ne derivano. A differenza delle categorie professionali, per le quali la concorrenza rimane affaire altrui.

Gli ordini professionali (ad oggi 19: una enormità) rimangono invece tali e quali, e intatta rimane la loro discrezionalità nell’ergere barriere all’ingresso di nuovi membri. Anziché normalizzare (o spazzare via) gradualmente una professione arcaica come quella notarile al fine di ricondurre i suoi compiti alla sola pubblica amministrazione (con conseguente guadagno statale), se ne aumentano i membri: un nuovo notaio ogni 600 chilometri quadrati, ovvero uno in più ogni 120000 abitanti (meno di uno in più a Pavia). E altri 500 nei prossimi anni: non una liberalizzazione, ma un “permesso” ottenuto dall’alto.

Tale prassi risolve inoltre i problemi per qualche tempo, senza in realtà gettare solide basi per il futuro. L’intento del cambiamento promosso è certo quello liberalizzatore, ma la poca decisione nel metterlo in pratica porta con sé un rischio implicito: alzare il numero degli appartenenti a una casta senza liberalizzarne veramente il lavoro significa obbligarla a un riassestamento, ma anche aumentarne il potere contrattuale. Assicurando la sua preventiva sopravvivenza, e non una moderazione delle tariffe applicate all’utente finale.

Lo stesso discorso vale per l’ampliamento della possibilità di fornitura nei contratti di esclusiva tra compagnie petrolifere e proprietari degli impianti. Una riforma che vale solo per 500 gestori (su 25000), che ignora volontariamente il fatto che il gravame posto sul prezzo della benzina offerto al consumatore dalle accise statali sia ben maggiore rispetto a quello derivante dal contratto di esclusiva.

Maggiori vantaggi al consumatore possono derivare invece dalle novità riguardanti le farmacie: rimarranno le uniche a poter vendere farmaci con obbligo di ricetta, ma il loro numero verrà ampliato fino ad assicurare la presenza di un punto di vendita ogni 3000 abitanti. Principio però dilatorio: la sua attuazione è rimandata alle regioni, alle quali sta il rilevamento dell’effettiva possibilità di applicazione; con il rischio che la maggiore vicinanza degli esercenti agli organi regionali possa aumentare il potere di influenza.

Possibili benefici alle finanze pubbliche possono poi derivare dalle future decisioni sull’assegnazione delle frequenze tv (ad oggi è sospeso il procedimento fino ad ora in vigore, detto beauty contest); mentre i cittadini potranno trarre vantaggi effettivi dagli obblighi imposti sulle RC auto, ma anche dallo smembramento di Eni e Snam (uno dei c.d. “poteri forti”): anche se sembra sfiorarci in modo minimo, quest’ultima operazione è davvero una rivoluzione che non può che fare bene.

Rimane una domanda: a quando i tagli alla spesa pubblica e le privatizzazioni delle quali sembra essersi dimenticati?

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