Concorsi

Crepuscolo

Di Francesco Puccini – Quarto classificato al concorso letterario Di-Stanze 2020

La nebula emetteva un’elettricità sinistra. Chilometri distanti, i grani spettavano piegando le gole e scaraventandosi, poi s’arrestavano. Rodrigo appannava il vetro di respiro. Dallo stesso mirava l’orizzonte impastarsi con la nebula violacea, la linea torcersi ostile. Le vacche al pascolo mutavano piglio, comunicando un senso di intemperia che dai campi risaliva la collina e veniva alla casa di riposo, dove stava Rodrigo. Dietro, Alfonsa bubbolava polverosa, metteva le piacentine sulla trina. Olmo, accanto, sonnecchiava, talvolta borbottando nella bocca e scotendo i baffi grigi. Era una gradevole finestra quella da cui Rodrigo osservava i pascoli lunghi stendersi fino all’appennino; succedeva che le vacche si facevano vicine, sgelandogli il cuore. Oggi gli anziani avevano ricevuto le visite dei cari. Questi comperavano le paste e i profumi; nell’atrio Rodrigo origliava il baccano, annusava i balsami nuovi mischiarsi con le voci. Nessuno veniva a trovarlo, da molto tempo. Aveva forse un figlio, di cui s’era dimenticato. Capitava di sognarlo la notte. Gli pagava la casa.
Ma già era sera. Rodrigo sentiva qualcosa avvolgere all’orizzonte; il panorama incontaminato, che di solito lo allegrava, subiva una corruzione. – E’ lontano – diceva all’Alfonsa, che pigliava sonno anche lei – ma per domattina s’appressa -. Rodrigo, da ragazzo, cacciava il cinghiale col padre e una volta si sentì dire che aveva gli occhi dell’aquila, perché aveva scovato una bestia lontanissima. Da quel momento s’immaginò di volare tra le nuvole e da lì scovare le prede, come un rapace. Una notte che non pigliava sonno, gli successe di scoprire le stelle; le studiò tutte quante con perizia, finché ne fece mestiere. Il suo mestiere furono il cielo e le stelle, per cui l’aquila non bastò alla chimera. S’immaginò una nave che orbitava attorno al mondo, poi il mondo non fu sufficiente e Rodrigo s’inventò un pianeta tutto suo. Il giorno in cui finalmente vi atterrava, Rodrigo fu solo per sempre, perché s’accorse d’esserne l’unico abitante.
Dormi? – bisbigliò all’Alfonsa per non destare Olmo. Erano le venti e il sole scompariva dietro l’appennino. Rodrigo stava bene perché aveva lasciato alle spalle il passato: del passato conservava una piccola foto di donna. Adesso viveva il presente; i suoi occhi lo portavano lontano fino all’appennino ed era quanto. I pascoli erano la sua stella e le vacche gli indigeni sereni della sua stella. Alfonsa era desta ma non rispondeva; aspettava che le ragazze la portassero in stanza, per dormire. Non ce la faceva da sola, a pigiare le ruote della sedia. Un giorno smise di provarci, se ci provava sentiva la morte vicinissima. Olmo la derideva perché lui invece ci riusciva; soprattutto all’ora di pranzo, se si doveva andare alla mensa. Alfonsa chiamava le ragazze per muoversi. L’addolorava, dipendere da un altro. Non volle finire all’ospizio ma ci finì quando qualcun altro lo decise: Alfonsa vide leso il proprio corpo, incapace già di portarla lontano, dove voleva. Ricordava i giorni al mare; i tramonti velati di tuorlo, con i bambini sul bagnasciuga.

Olmo dormiva. Dormiva spesso ma quando era sveglio lo si sentiva, era un po’ sordo. Fece una vita lavorando l’acciaio; veniva da una famigliola che ricordava con orgoglio modesto. Era il più vecchio di tutti, ma ancora robusto e sereno. Aveva sempre saputo di dover andare al ricovero, un giorno; così, quando fu il momento, baciò i figli sulla fronte e si comperò il biglietto del pullman. Quando venne alla casa fu allegro e così furono gli altri, perché Olmo discorreva buono con i vecchietti, come fosse un giovanotto; mangiava e beveva con nerbo, poi cadeva grosso sulla poltrona; pisolava davanti alla finestra, accanto all’Alfonsa che giocava il solitario, finché l’infermiera l’avrebbe destato, condotto in camera per dormire ancora.
Erano le venti passate da un po’. – Allora avvicinami! – faceva l’Alfonsa a Rodrigo che s’affannava.
Lui moveva ancora snello, quindi s’alzò e portò la vecchietta alla finestrona. – Aguzzati, là dietro lo steccato, bada bene! – insisteva, perché lei non vedeva niente: le vacche che peregrinavano alle stalle, l’appennino. Lei non vedeva, salvo i pascoli rimboccati alla notte. Ma Rodrigo era risoluto e adesso gli montava rabbia, non voleva parersi pazzo. – Svegliamo l’Olmo e facciamogli vedere, se tu non ci credi! – avanzava come un ragazzetto che ha scoperto qualche cosa, ma cui non si presta ascolto. – Oh Rodrigo! me lo vuoi far destare per una scemata del genere? Poi quello si mette a far baccano e ci sveglia tutta la casa, lo sai! – faceva lei, ora seccata ma sussurrando – ti ci posso guardare anche tutta la sera, ma non ti mettere a far scenate, per cortesia – . Un po’ di terrore pigliava Rodrigo e si miscelava al curioso; s’era levato gli occhiali e ora sbalordiva, perché ciò che era lontano s’appressava. La coda di vacche peregrine, prima compatta, adesso sfumava; un calore la deglutiva pitturando patacche di castagno sul bianco non casto, unto. E Rodrigo s’affannava come una sagoma prossima alla morte, scoteva l’Olmo trascurando l’impedire dell’Alfonsa, che si zittì, sbuffando e scorticando il dorso di una piacentina. – Oh che tu c’hai le traveggole? – fece il vecchione che già si sognava lontano; Rodrigo non perse tempo: – Vieni alla finestra e dimmi se non vedi! -. Ma l’Olmo non vide, per quanto si sforzasse dietro gli occhiali; tanto che Rodrigo era tutto sconfortato nel desiderio che i due vecchietti vedessero. L’Alfonsa chiamò la ragazza e fece per andarsene, era stufa e l’Olmo s’era destato e faceva baccano; ma prima cercò gli occhi di Rodrigo che non la guardava, poi s’allungò un’ultima volta verso la vetrata. Infine sparì dietro l’angolo. Seguiva l’Olmo che le ruote se le pigiava da solo; aveva un gran sonno ed era imbarazzato della strana circostanza, così a Rodrigo non gli disse quasi nulla.

Questi fu lucido nell’allontanare l’infermiera che lo voleva coricato come gli altri; – Ancora un poco – le disse. Così rimase solitario dinnanzi al cielo quasi nero. Il nero del cielo si costruiva di arabeschi, filtrato dal vetro duplice degli occhiali di Rodrigo e della finestra; l’uomo sgomentava, il cuore rintoccava rapido poiché egli sentiva quello che nessun altro sentiva. La musica degli animali notturni era una sinfonia minacciosa che accompagnava la nebula: l’orizzonte veniva meno, così le bestie e i pascoli furono confusi assieme, umiliati dalla nebula che s’appressava alla casa. Rodrigo volle urlare ma la voce l’avrebbe strangolato, così rimase in silenzio ma dentro urlava e rimestava come germogliassero due ali grandi di ciuffi d’aquila dalla pancia. Quasi che egli adesso sfiorasse la nebula presagendone la composizione di grana; quasi che non fosse mai più al ricovero, ma nel bosco col padre, succhiando una mora dolce, le gambe ceree e la testa biondissima; quasi facesse l’amore sugli scogli cosparso lui di sale lei di brezza salina, quasi educasse una creatura alle stelle lontane. Rodrigo non si sentiva più solo, per un momento piccolo. Finché la nebula cadde, lasciando un sentimento di inesistere. Un agnellino cercava la madre.

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