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Creatura breve: l’erotismo di uno, dell’altro il camposanto

In occasione della futura uscita di Creatura breve, libro di poesie che sarà pubblicato per Esemble edizioni il prossimo settembre, ho avuto il piacere di intervistare Gabriele Galloni, di modo che – in realtà – ne uscisse una lettura critica in anteprima con intervento dell’autore.

Demetrio Marra: Gabriele, nella precedente intervista abbiamo parlato di Slittamenti e soprattutto di In che luce cadranno. Subito ho pensato che è vero che scrivi molto. Ed è vero che qualcuno ti critica per questo. Io penso, più razionalmente, che tu abbia molto materiale accumulato e che proprio in questi due anni (con furor progettuale) tu abbia in un certo modo deciso per una trilogia. E ai materiali precedenti (spesso le tue poesie hanno versi brevi, non epigrammatici ma di annotazione, negli spazi vuoti dei fogli già scritti, una varia lectio) si sono aggiunti i rifacimenti maturi e le nuove produzioni, creando un corpus compatto. Di più, le tue raccolte sono sottili, mai più di una cinquantina di testi, perché il discorso è sospeso e raramente circoscritto. Ad ogni modo, ciò che vorrei dire è concentriamoci sul progetto. Come tu mi hai confessato, qui ti fermi. Almeno per un po’. I tuoi primi due libri, vorrei ridurre impropriamente, sono: Slittamenti, che si concentra su la “Parola” e sull’erotismo, sulla parola erotica direi; e In che luce cadranno (ricordandoci che in realtà è questo che hai scritto prima, ma pubblicato dopo), quel tuo racconto antropologico di una società di morti. Quindi l’erotismo da un lato, dall’altro il camposanto. Eccoci dunque. Già subito, leggendo la Creatura breve – il tuo prossimo libro per Ensemble edizioni – devo confessarti aver provato un attimo di delusione. Leggendo un testo come Outtake: «I morti naufragano negli specchi. / Ma quanta ne raccolgono, di luna, / prima di visitarti come vecchi /amici. Luna a porgerti la scusa / del cielo». Ho pensato: ma è In che luce cadranno! Subito però mi sono ricreduto. È vero che questo testo ha il tono del tuo libro precedente, ma ecco il testo successivo: Fabula: «L’angelo è pazzo. / L’angelo ci tocca. / L’angelo vuole; / l’angelo non dice. / Sul sofà newyorchese una Beatrice / velata. / L’angelo ci viene in bocca». È un testo che ricorda Slittamenti. Perché il biblico è in progressione sconfessato o comunque criticizzato con l’irrompere dell’eros. È così che la serie Pro Verbis #n mi sembra il luogo dell’intersezione. Dove Fabula accoglie le suggestioni di Slittamenti. Con In che luce cadranno un attimo apparentemente riposto, e subito risorto con l’esperimento di descrizione ancora antropologica (ma qui ancor più “pseudo”) di una società, di preti che sembrano spretati per premessa e che hanno nel dialogo coi morti la loro principale istanza. Sono i Ritratti di comunità in sei giorni. Mi sembra che dopo questa sezione tutto si mescoli, i linguaggi siano finalmente ibridi e autonomi. Scusami lo sproloquio. La domanda è: è una summa? Non di temi soltanto ma di linguaggio?

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Gabriele Galloni: Creatura Breve è la conclusione di una determinata stagione creativa. Una stagione iniziata molto tempo fa con la scrittura e riscrittura di Slittamenti – la prima versione della poesia I ragazzi alla spiaggia di Focene è del 2013, per dire; avevo appena 18 anni. A oggi questa stagione è irrimediabilmente conclusa. Si deve avere il coraggio dell’addio; è necessario.
Creatura Breve è quindi la pietra tombale su questi miei primi anni di lavoro. E soprattutto ne è la summa, situandosi perfettamente a metà tra le suggestioni di Slittamenti e gli eoni dispersi di In che luce cadranno. Del resto ho pensato e sviluppato i miei tre libri come una trilogia, in maniera unitaria, creando una rete di rimandi e riferimenti. Questo però non inficia in alcun modo la lettura: ciascuno dei libri può essere letto indipendentemente dagli altri.
Hai detto bene: non sono uno scrittore compulsivo. Piuttosto riscrivo molto. Sono intransigente, spietato con le mie parole. La pubblicazione ravvicinata di Slittamenti, In che luce cadranno e Creatura breve è stata una scelta formale e consona al mio progetto; nient’altro.
Per riallacciarmi alla tua domanda. Sì, Creatura Breve è un riassunto di ricerca e di linguaggio. Dopo questi lavori non potrò più muovermi nella medesima direzione: sono arrivato dove volevo arrivare; ho trovato ciò che volevo trovare. In tre libri ho condensato e sfregiato ampiamente queste ossessioni prime. Adesso mi aspettano altre strade da battere; nuove ombre da accogliere.

D. M.:Riassunto e rilancio direi. Mi spiego: è vero che confluiscono due tendenze separate ma eccolo il superamento, seppur sempre ancorato a un modo direi sicuro di fare poesia. Penso a questa Fabula come esempio di continuamento o sintesi: «Abramo scavò un pozzo dove perdersi. / Vi buttò dentro il grano e la salute. / Scese le scale, piano, senza rendersi / conto delle due sillabe cadute / dalle nuvole per accompagnarlo». Che inarca in modo deciso, a separare il verbo al suo interno o il verbo dal suo complemento necessario, a rimarcare, senza dubbio, la rima che è interna di fatto al procedere del discorso ed esterna graficamente. Ad ogni modo, penso al superamento con la poesia, ancora Fabula:

Il tin-tin-tin-tinnio della moneta
caduta in terra l’attimo a precedere
lo scoppio. Il corpo asciutto dell’atleta
fa un balzo indietro; un altro sparo. Scivola
cosciente ancora il maratoneta
fra gli sconfitti della terra, rantola,
si aggrappa ai concorrenti che lo superano
pensando un incidente, un contrattempo
di piedi in fallo.
Sangue poco o niente.

Dove sì eccolo ancora lo stesso utilizzo della inarcatura. A rompere gli elementi legati al massimo grado. Ma il superamento sta in primis nel tintinnio fonosimbolico e soprattutto nell’immagine raccontata. Una sorta di sincronia assoluta di movimenti a rallenty. Nella tua poesia ho avuto sempre l’impressione che il movimento fosse nullo, e che ci fosse solo se consentito dall’atto sessuale. Insomma una poesia di verbi gnoseologici come conoscere o verbi d’arte come annotate, disegnare eccetera (prendo a piene mani da quest’ultima raccolta). Eppure qua ci sono atleti, spari, cadute. Energia potenziale che si fa cinetica e profezia di una rottura della trasformazione. Può davvero essere qui uno dei punti di stacco dalla tua precedente poesia? Hai qualche idea a riguardo? Intendo sulla tua prossima poesia. Perché a leggere, per esempio. alcuni testi dell’Estate del mondo, che spesso menzioni sui social come raccolta in divenire eccetera, oltre all’allungamento delle forme non ho notato insistenza su un cambio da statica a cinetica.

G.G.: La poesia che menzioni è in effetti un unicum nella mia produzione. Ho sempre inseguito il tableaux vivant, la scena nitida e chiara; la velocità mi interessa poco. Questa è una poesia tutta basata sull’azione. La corsa degli atleti, lo sparo; la morte del maratoneta. Penso di essere riuscito a rendere bene questa sequenza a scatti. Però qui ti sorprendo: la poesia in questione è tra le più vecchie di Creatura Breve. Quindi non segna alcuna evoluzione, non è indice di nulla. Appunto è un episodio a parte. Per L’Estate del mondo cambia il respiro dei componimenti. Le poesie diventano più narrative, si dilatano; non cercano più di accennare una storia, ma vogliono raccontarla. Subentra molto l’Io, la rievocazione personale, il ricordo sfregiato dalla fantasia; la fantasia sfregiata dal ricordo. Adoro lavorare a L’Estate del mondo: è una sfida a superare me stesso. Spero di lavorarci il più a lungo possibile.

D.M.: Mi sorprendi. Ed è bene così. Ad ogni modo non voglio indugiare oltre su Creatura breve, rinviando alla lettura diretta. Però ho bisogno di chiederti: hai annunciato recentemente su Facebook il tuo libro di racconti Sogno giapponese per Pequod. Sapevo – me l’avevi anticipato – di questo tuo progetto anche narrativo. Mi è venuto in mente perché mi parli di narrazione: c’è influenza reciproca? E dopo questa mia domanda banale: una anticipazione flash: di cosa parlerà il libro?

Sì. La mia prosa e la mia poesia si influenzano a vicenda – ma cerco di tenerle ben distinte e distanti.
Sonno giapponese è una raccolta di quaranta brevi racconti – o inizi di racconti o conclusioni o intermezzi. Non mi dilungo sull’opera; avrete modo, spero, di leggerla. Intanto vi allego un’anteprima: è il racconto che dà il titolo all’opera.

da Sonno Giapponese, PeQuod, 2018

L’uomo allestì il Purgatorio nella sala da pranzo – affinché sua figlia, compiuti i dodici anni, capisse l’Ulteriore che le era destinato per diritto di nascita e di colpa.

Dal soffitto pendevano nuvole di cotone; così fitte, le nuvole, da rendere la luce di fuori una febbre soffusa. Teli bianchi ricoprivano i mobili, le sedie. Gli ospiti seduti sul divano come fantasmi.

“No, figliola: come anime.”

L’uomo spruzzò acqua salata negli occhi della figlia. Ripeté l’operazione cinque o sei volte.

“Appena arrivata in Purgatorio non riuscirai a mettere a fuoco le forme; ti bruceranno gli occhi. La Luce del Purgatorio è un’eco distante della luce divina, ma quanto brucia ai nuovi arrivati! D’altronde una luce così, qui sulla terra, nessuno ha mai modo di vederla.”

L’uomo chiese a sua figlia di seguirlo; camminarono in tondo per il salone.

Gli ospiti sotto i teli parlavano velocemente fra loro. Imitavano alla perfezione le anime purgatoriali.

Padre e figlia oltrepassarono la porta del salone; proseguirono per il corridoio. In fondo a esso, di fronte alla camera da letto, una vecchia rete di materasso.

“Quella è la graticola dove l’anima, una volta espiata la penitenza, viene arsa e ridotta in cenere; perché come cenere, anzi come fumo, deve poi salire al cielo e farsi parte del Signore.”

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