Cosa ci rimane delle stragi di Capaci e via D’Amelio trent’anni dopo?
In occasione del trentesimo anniversario delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, dove morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la zecca di Stato ha coniato e messo in circolo una nuova moneta ritraente i due giudici nella loro iconica foto scattata da Tony Gentile proprio nell’anno della loro morte.

Ma oltre ad una moneta e tanta amarezza cosa ci ha lasciato la dipartita dei due magistrati? La strada che hanno cominciato assieme ai loro collaboratori è ancora lunga, delle volte sembra infinita, negli ultimi anni però qualcosa è cambiato: il picco di omicidi mafiosi, infatti, è stato registrato tra il 1988 e il 1992 (l’anno delle due stragi), mentre nell’ultimo periodo sono in forte diminuzione. La criminalità organizzata si sta spostando sempre più verso un’economia legale, collaborando con settori imprenditoriali dove riesce facilmente a riciclare il denaro ottenuto con le sue attività “tradizionali”, come l’estorsione e lo spaccio; senza dimenticare il controllo che esercitano sulle gare e sugli appalti delle le opere pubbliche.
La Direzione Investigativa Antimafia (DIA) afferma che: «Le organizzazioni criminali di tipo mafioso, […], fanno ricorso sempre meno all’uso della violenza, con linee d’azione di silente penetrazione nel mondo imprenditoriale e produttivo e quindi di mimetizzazione nel tessuto economico e sociale» (per approfondire qui). Ma oltre alla DIA e gli altri organi preposti dallo Stato, oggi ci sono numerose fondazioni che combattono contro la criminalità organizzata.
Tra le tante, per ovvie ragioni, non si può dimenticare la “Fondazione Falcone”, istituita dalla sorella del magistrato dopo la sua morte, il cui impegno principale è «promuovere, attraverso attività di studio e di ricerca, la cultura della legalità nella società e in particolare nei giovani». Molto interessante è anche il progetto “Vivi” realizzato da Libera, che si pone l’obiettivo di essere «Un luogo di memoria viva consultabile in ogni momento, dove poter incontrare le centinaia di persone uccise dalla violenza mafiosa e scoprire i loro volti, la loro storia, i loro sogni, il loro impegno, il loro lavoro, i loro affetti». È molto importante il fatto che pongano l’enfasi sul voler ricordare tutte le vittime e non solo quelle che chiamano «di primo piano» che rischiano di far si che ci sia una «memoria selettiva», dimenticando le persone “comuni” uccise dalla mafia.

Una questione che fa discutere molto, anche dopo trent’anni, è quella legata alle reazioni che ci furono alla morte di Falcone. Ai funerali della vittima, si presentarono i parenti accompagnati dall’intera città di Palermo, ed inoltre non mancarono personalità di spicco e politici di diverse fazioni. Questi ultimi però vennero aspramente criticati; infatti Falcone, durante la sua carriera, è stato sempre intralciato dalle istituzioni, criticato dai colleghi e contestato da molti politici, alcuni di questi poi dopo la sua morte hanno però omaggiato il collega, cercando di nascondere tutte le calunnie espresse nei suoi confronti mentre era in vita.
Ilda Boccassini, una magistrata che ha collaborato con Falcone e che si è sempre schierata dalla sua parte, ha fatto numerose dichiarazioni in merito a questa faccenda: «Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali». Anche anni dopo la morte del collega non ha cambiato la sua posizione, in un’intervista più recente disse: «Né il Paese né la magistratura né il potere, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che comprenderle, in morte, se ne appropriano a piene mani, deformandole secondo la convenienza del momento. […] Non c’è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità. Eppure, le cattedrali e i convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati di “amici” che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo ha colpito».
Falcone, come tanti altri, è stato riconosciuto e apprezzato troppo tardi, è servita la sua morte perché tutti si accorgessero della sua onestà, indipendenza e reale voglia di cambiamento; ma del resto si sa l’uomo è come il maiale, lo si apprezza da morto.
Profetiche furono le dichiarazioni che Falcone stesso fece: «Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere»
La domanda che adesso dobbiamo porci è: la morte di Falcone era inevitabile oppure le istituzioni non avevano interesse a proteggere, o ancora peggio avevano interesse a non proteggere, il magistrato? Sicuramente noi non possiamo rispondere a questa domanda, ma il minimo che dobbiamo fare è chiedercelo.