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Corporate Welfare: privatizzare gli utili, socializzare le perdite

La crisi economica provocata dalla pandemia è la peggiore dal 2008, la seconda per una generazione che già ha visto sempre più ridotte le proprie tutele sul lavoro e in generale la possibilità di avere un lavoro. In questi giorni, per la prima volta in Italia si assiste ad uno sciopero contro Amazon.
Il colosso del commercio non è nuovo ad eventi del genere, soprattutto durante la pandemia. I dipendenti denunciano condizioni di lavoro estreme e massacranti, quando non addirittura umilianti: a quanto pare, per risparmiare tempo alcuni sarebbero costretti ad urinare nelle bottiglie. Testimonianze di questo tipo ricordano più il Taylorismo del Novecento che le relazioni di lavoro post- belliche. Di fronte a questa crisi, i lavoratori rischiano di perdere ulteriori diritti.

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Manifestanti fuori da uno stabilimento Amazon, in Italia (foto via NBC News)

Mentre buona parte della popolazione nell’ultimo anno ha visto il proprio tenore di vita contrarsi, molte aziende hanno visto il proprio fatturato aumentare, in alcuni casi in modo consistente. Alcune di esse sono state avvantaggiate dalla natura del loro prodotto, ideale per le attuali necessità: servizi di streaming, video o intrattenimento videoludico come ad esempio Netflix, Nvidia e Tencent oppure di pagamento postale come Paypal sono andate incontro a un notevole miglioramento. Per Tencent, azienda cinese leader nella produzione di videogiochi, l’aumento del fatturato è stato del 30%, corrispondente a 92 miliardi di dollari. Al significativo caso di Amazon, che lo scorso dicembre ha ricevuto dal Congresso degli Stati Uniti 3.7 miliardi di dollari di aiuti nonostante abbia aumentato il fatturato del 37%, si aggiunge Tesla, il cui CEO Elon Musk è un noto critico degli aiuti economici per ridurre l’impatto della pandemia, eppure non ha avuto problemi a raccogliere quegli stessi aiuti, pur avendo anche Tesla incrementato gli utili durante l’ultimo anno.
Non è dunque chiaro per quale motivo tali aziende siano state avvantaggiate con aiuti statali o cerchino di smaltire manodopera, visto che non hanno certo problemi di liquidità e, di contro, molte persone trarrebbero beneficio dall’avere un’occupazione relativamente stabile e ben retribuita (senza parlare del benessere economico collettivo che questo comporterebbe).

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(Foto di Daniel Leal-Olivas via AFP/Getty Images)

Per quanto riguarda l’Italia, la situazione si trova attualmente in stallo a causa del blocco dei licenziamenti: cosa accadrà al termine di questo vincolo? Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha manifestato un marcato disaccordo con questa imposizione, e ha già fornito alcune personali risposte per ovviare al problema, che dal suo punto di vista sono i troppi posti di lavoro. L’approccio di Confindustria non sembra essere motivato da una situazione difficile (e quindi comprensibile, viste le reali difficoltà di molte imprese) ma da un generale approccio alle dinamiche del lavoro: lo stesso Bonomi si è lamentato degli sprechi di denaro pubblico nel welfare che ai suoi occhi creerebbero un Sussidistan, malgrado i dati ci dicano che nella pratica gli aiuti alle imprese costino molto più dello Stato Sociale.

Lo scorso settembre Confindustria ha pubblicato un documento intitolato “Il coraggio del futuro”: contiene le linee guida che intende seguire o proporre nel periodo 2030-2050. Tali proposte includono la privatizzazione della sanità, l’asservimento della scuola alla necessità economica, una forte liberalizzazione del mercato del lavoro (il testo dice esplicitamente che “il licenziamento non va percepito come un trauma”) minori controlli fiscali (nel Paese con la seconda economia sommersa d’Europa) ma soprattutto l’indebolimento del welfare, in particolare quello legato alla disoccupazione.
Gli imprenditori si aspetterebbero quindi di aumentare i licenziamenti, ma in parallelo di ridurre le tutele e le tasse per i disoccupati, che dovrebbero essere unicamente a carico di uno Stato notevolmente indebolito dal punto di vista fiscale (e contrattuale).
Sostanzialmente, con la pandemia le imprese divorano aiuti pubblici e propongono tagli allo stato sociale: un simile atteggiamento è spesso sarcasticamente definito “Socialismo per i ricchi, capitalismo per i poveri”, o a volte “Privatizzare gli utili, socializzare le perdite”. In generale, ed in modo più rigoroso dal punto di vista tecnico, si chiama Corporate welfare (da non confondere con il welfare aziendale, ndr).

In Italia Ernesto Rossi, economista antifascista fra i fondatori del Partito Radicale, scrisse nel 1955 l’influente testo I padroni del vapore”, in cui denunciava le ambigue e strette relazioni fra politica ed economia. Non solo Rossi intuì quelle che sarebbero state discutibili pratiche italiane, ma nella pratica pare che avesse anticipato quella che sarebbe stata l’influenza delle lobbies (soprattutto finanziarie) che oggi dominano la sfera pubblica. Un simile approccio al lavoro e alla società è stato definito da alcuni neo-feudalesimo, un sistema in cui gli spazi pubblici ed il denaro della collettività sono “regalati” ad alcuni e privatizzati.
Di fronte alla devastante crisi economica che ha toccato il mondo come conseguenza del Covid-19, non è possibile né sostenibile pensare in un modo simile il lavoro, la produzione e il bene collettivo.

(L’immagine in copertina è opera dello street artist statunitense Alec Monopoly)

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