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Come papaveri sui binari

8.30 di lunedì mattina. Un gruppo di ragazzi attraversa i binari proprio mentre si abbassano le sbarre. Non posso fare a meno di riflettere.

È di qualche giorno fa la notizia di una nuova tragica morte sui binari, l’ennesima dall’inizio dell’anno. I treni della tratta Milano- Pavia sono bloccati, alcuni mai partiti, ritardi fino a 125 minuti. Tutti si interrogano su cosa sia accaduto e sul sito della compagnia compare l’annuncio: i treni non possono partire perché nella stazione di Villamaggiore si è verificato un investimento. Qualche riga, nulla di più perché la POLFER e la scientifica stanno ancora facendo accertamenti, non si sa molto, né chi sia la vittima né come tutto sia potuto accadere. Solo in serata sui giornali online della Provincia pavese compare qualche particolare in più; pare che la vittima sia un ragazzo di 17 anni che attraversava i binari. È stata quindi scartata ogni ipotesi di volontarietà del gesto, quel ragazzino non voleva suicidarsi, voleva solo passare dall’altra parte della banchina. La notizia che “qualcuno è finito sotto a un treno” di solito scatena nella mente dei pendolari una serie di speculazioni per cui tutti si improvvisano investigatori ed elaborano congetture riguardo la sorte del malcapitato. Così c’è qualcuno che vaglia l’ipotesi del suicidio, qualcuno che invece considera quella della tragica fatalità, qualcun altro che crede nella possibilità della spintonata giocosa finita male.

È difficile riuscire a reperire dei dati precisi riguardo il numero di incidenti ferroviari di questo tipo dall’inizio dell’anno, ma si tratta di una di quelle notizie che circolano spesso sia in ambiente mediatico che in stazione: a volte capita di sentirlo anche un paio di volte al mese il che rende questo fenomeno, se così si può chiamare, qualcosa di davvero preoccupante. La verità è che non si tratta quasi mai di suicidi, per questo non se ne può parlare come un fenomeno sistematico, qualcosa che può essere ricollegato solo ed esclusivamente alle responsabilità della nostra società dove di per sé la frequenza di suicidi, indipendentemente dal fatto che avvengano con questa modalità, è abbastanza alta.

Molto spesso si tratta della conseguenza della disattenzione di chi attraversa i binari nonostante qualsiasi indicazione scritta o comunicazione degli altoparlanti lo sconsigli vivamente. In questo caso sono soprattutto i più giovani a rimetterci. Ragazzini di ritorno da scuola che non hanno voglia di usare il sottopassaggio e allora attraversano con imprudenza, sicuri che non toccherà proprio a loro, che quel treno maledetto non sopraggiungerà proprio in quel momento; a volte sono così in buona fede nella loro ingenuità che infilano le cuffiette con la musica, la stessa che li accompagnerà lontano da questo mondo. Eppure, fin da bambini, una delle cose che ci vengono insegnate, al pari di guardare sia a destra che a sinistra quando si attraversa la strada, è proprio quella di non attraversare i binari in stazione e, se si è costretti a farlo, almeno accertarsi che non vi siano treni in transito.

Purtroppo questo accorgimento non è servito alla recente vittima dell’incidente che non ha potuto vedere il treno sopraggiungere poiché la visuale era ostacolata da un convoglio fermo in stazione. Forse avrebbe dovuto far caso al rumore, a quel “ciuf ciuf” che da piccoli è compagno di giochi e da grandi, se non gli si presta attenzione, uccide. Tanti sono i pensieri che si fanno la guerra nella mente di ognuno in questi casi, accompagnati da una prima domanda: di chi è la colpa? Del macchinista che non avrebbe mai e poi mai potuto prevedere che qualcuno gli avrebbe attraversato i binari davanti mentre andava a 150, anche 200 km/h non dovendosi nemmeno fermare in quella stazione? Della vittima? Forse. Senza dubbio ha agito senza riflettere, senza ricordarsi per un attimo di quella raccomandazione materna che sicuramente aveva sentito mille volte, ma non quella, per colpa di un’ingenuità che può colpire chiunque e in qualunque frangente e che però in qualche modo suscita in tutti empatia, dolore. Così in queste circostanze a volte è meglio invocare la fatalità, forse il destino, pur arrabbiandosi nel constatare che ancora una volta una distrazione umana può costare la vita e soprattutto nel rendersi conto che in troppi la perdono in questo modo assurdo.

Tante sono state le campagne di “sensibilizzazione” lanciate in relazione a questo tema, esattamente come per la guida sicura in strada; i cosiddetti PIF (Public Information Films) inglesi o la Pubblicità Progresso italiana, ad esempio, che sono stati prodotti in enorme quantità e hanno la capacità di rimanere impressi nella mente se guardati un paio di volte. La stessa Trenord, ora, ha realizzato dei brevi spot in cui ribadisce la raccomandazione di “rimanere dietro alla linea gialla” e “non attraversare i binari”. Forse sarebbe utile propinarli già ai bambini a scuola. O forse no, del resto magari agirebbero esattamente nello stesso modo a causa di un’imprevedibile impulsività. Troppi sono i quesiti che ci si può e ci si deve porre, ma non esisterà mai una risposta univoca così la prossima volta che si darà l’annuncio dell’ennesima morte sui binari ricomincerà la stessa routine dell’indovinare cosa sia successo, dell’incolpare, del moralizzare.

Nel frattempo, mentre faccio le mie considerazioni mi sono accorta che i binari sono disseminati di fieri papaveri rossi. Il papavero è fragile e da sempre, anche nella letteratura, è simbolo di caducità; se reciso muore dopo poco, non dà nemmeno il tempo di metterlo in un vaso d’acqua. E non posso fare a meno di pensare che quei papaveri, nati lì, su quei binari, stiano a rappresentare tutte le vittime di queste assurde morti che non dovrebbero accadere, che si potrebbero evitare, ma che ogni volta scuotono sempre di più, fanno riflettere su quanto poco ci voglia per andarsene così, ripetendo qualcosa di fatto già mille volte.

La milleunesima potrebbe andare male.

Claudia Agrestino

Sono iscritta a Studi dell'Africa e dell'Asia all'Università di Pavia. Amo viaggiare e scrivere di Africa, Medioriente, musica. Il mio mantra: "Dove finiscono le storie che nessuno racconta?"

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