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Come la prima volta. Rangers Glasgow e Celtic Glasgow

di Simone Lo Giudice

 

“Quando un’anima nasce in questo Paese, le vengono gettate addosso tante reti per impedire che fugga. Tu mi parli di religione: io cercherò di fuggire da quella rete”. A bordo della tela “Dedalus” (il romanzo autobiografico del 1916) l’impressionista James Joyce dipinge squarci di paesaggio irlandese, sospeso tra terra cattolica e cielo protestante. Una rivisitazione contemporanea della migrazione ottocentesca che investì la provincia dell’Ulster: il credo anglicano che spodesta la confessione cristiana, ormai costretta a dispiegare le ali come Dedalo per volare altrove. C’è chi by-passa l’Atlantico per atterrare negli Stati Uniti, c’è chi fa due passi per giungere in Scozia. Tra nostalgia e speranza, gli emigranti irlandesi rincorrono un futuro migliore nella “piccola valle verde” (“Glasgow” in lingua gaelico-scozzese) sempre più cattolica e meno protestante. Una svolta inattesa per gli autoctoni, un modo per arricchire sé stessi grazie al contatto con la diversità. La vita sociale soffocherà gli spiriti di rivalsa, mentre l’erba offrirà campo aperto a galoppate guascone dal sapore campanilistico. L’egemonia del Leone-Rangers (fondazione nel 1872) assiste alla fioritura del Quadrifoglio-Celtic (fondazione nel 1888): perché non esiste una pianta audace che non possa avvilupparsi attorno ad un animale rampante. Ora non ci resta che conoscere meglio le due anime di Glasgow.

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Il mito bianco-blu (Rangers) nacque tra i pensieri di quattro giovanissimi: dai fratelli McNeil a William McBeath fino a Peter Campbell. Quattro anime pallonare in attesa di mettere in gioco sé stesse. Un giorno lo sguardo di Moses McNeil incappa in una lettura rugbystica: e proprio Rangers sarà il nome della loro futura squadra di calcio. Un sogno che prende forma nella mente della gioventù protestante di Glasgow.

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Il mito bianco-verde (Celtic) nacque sull’altare glasgowese della “Chiesa Cattolica di Santa Maria” per mano di Fratello Walfrid, un frate mariano originario dell’irlandesissimo villaggio di Ballymote. L’ispirazione edimburghese (ad Edimburgo fu fondato l’Hibernian Football Club nel 1875) a dare vita ad una organizzazione caritatevole nei confronti della minoranza cattolica di Glasgow. Chiamarsi “Celtic” per non dimenticare le radici storico-culturali di natura celtica. La certezza religiosa irlandese in procinto di tramutarsi in scommessa sportiva scozzese.

Segregazione, gestione societaria, Old Firm
Da un lato la maggioranza protestante e dall’altro la minoranza cattolica: due modi di essere dislocati agli antipodi, sospesi tra ore di convivenza coatta (in società) ed istanti di simbiosi spontanea (sul campo). Seduti alla scrivania, bianco-blu e bianco-verde perseguono strategie antitetiche: dalla politica segregazionista dei Rangers (fino a poco tempo fa riluttanti nei confronti di qualunque sportivo di religione cattolica) alla politica non segregazionista dei Celtic (il più grande allenatore della loro storia fu un protestante), dalla gestione manageriale bianco-blu (al centro le prestazioni sportive) alla gestione familiare bianco-verde (al centro il legame affettivo con il giocatore). Ma poi la scrivania sgombra la scena e dà spazio al pallone. Le squadre minori scozzesi hanno coniato il termine “Old Firm” per alludere allo strapotere economico del binomio Rangers-Celtic. Oggi “Old Firm” significa derby tra due rivali storiche in terra scozzese: che si giochi ad Ibrox (la casa dei Rangers) oppure a Celtic Park (la casa dei Celtic) non fa differenza. Il pubblico scalda la voce, lo stadio ruggisce, ventidue ragazzi scendono in campo, si stringono la mano e poi si comincia. Eppure si avverte una strana sensazione, come se le valigie dei Celtic non siano ancora state svuotate. Se sei stato un emigrante per necessità, in cuor tuo continuerai sempre ad esserlo. Stai fissando i padroni di casa negli occhi, lo hai già fatto nel recente passato. Eppure non sembrerebbe. È sempre “Come la prima volta”.

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