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The Circle non è Black Mirror

Far riflettere su tutte quelle piccole azioni quotidiane che ci rendono più o meno dipendenti da quelle tecnologie smart alle quali abbiamo placidamente accettato di chinare il capo è un importante punto in comune che il film The Circle di James Ponsdolt ha con la serie Black Mirror. Per il resto si tratta di un film narrativamente ed esteticamente agli antipodi.

La vicenda narrata è la seguente: Mae Holland, una Emma Watson perfettamente calata nella parte, è una giovane addetta a un call center che viene assunta presso The Circle, una sintesi paurosamente credibile di Google, Apple e Amazon. Tutto procede alla perfezione, uno stipendio vantaggioso, un’assicurazione sanitaria eccellente, un lavoro da scrivania facile ed appagante e colleghi gentili e disponibili. Ma non basta. The Circle è anche una riproposizione del mito della Silicon Valley e quindi feste, concerti, meeting ma anche meditazione zen, “doga” (yoga più “dog”, la meditazione con i cani), giardinaggio e chi più ne ha più ne metta, il paradiso dei nerd. E poi arriva lui, Tom Hanks nel ruolo di Eamon Bailey, il CEO della compagnia, una sorta di Steve Jobs ma più simpatico, più affabile, più trendy (è pur sempre Tom Hanks).Tutti sono estasiati dalla sua efficacissima prosa da narratore della semplicità e Mae non è da meno. Tutto sembra andare alla grande, almeno fino a quando la realtà familiare della protagonista non si scontra con la realtà artefatta di The Circle e l’immagine di trasparenza che essa rappresenta e sostiene. Da questo punto in poi il film è un crescendo, non sempre equilibratissimo, di imbarazzo, mistero, tensione e tragedia nella quale la perdita di innocenza della protagonista coincide con quella della compagnia. Ma mentre la prima reagisce proponendo un cambiamento radicale, la seconda cerca solo di rattoppare elegantemente i danni.

Non mancano personaggi secondari come Patton Oswalt nei panni di un amministratore delegato fin troppo entusiasta e John Boyega in un ruolo di cui è bene non rivelare molto ma che rappresenta di fatto la voce molto critica ma pacatamente ottimista del regista. La menzione speciale va a Karen Gillian che interpreta la migliore amica di Mae, il personaggio che subisce le trasformazioni visivamente e caratterialmente più impressionanti. Senza dubbio una grande prova di recitazione. E sarà lei a condurre la protagonista verso la conclusione della vicenda, che però curiosamente non esiste. Si potrebbe essere tentati dal dire che si tratta di un finale aperto ma in realtà è una vera e propria cesura, al momento della visione incomprensibile, che rivela però l’umiltà (o la codardia?) del regista nel non voler prendere una posizione risolutiva ben definita.
Quella di The Circle è una storia dal ritmo non sempre regolare, a volte un po’ troppo serrato a volte fin troppo riflessivo, ma rimane un’ottima storia e un ottimo film che sa sollevare questioni di interesse per tutti: dalla necessità di “trasparenza” nella vita pubblica e politica al prezzo da pagare per eliminare fenomeni come il cyber-bullsimo, l’anonimato criminale e l’evasione fiscale. Ma anche il problema del diritto e dovere di voto e i pericoli della democrazia diretta e immediata attraverso la rete. Indubbiamente la personalità e il pensiero meglio sviluppati sono quelli di Bailey, che da paladino della trasparenza e della virtuale onniscienza, conia il motto “sapere è bene, sapere tutto è meglio”.Nel ruolo di antagonista, Tom Hanks è una piacevole novità. La sua simpatia e il familiare carisma sono questa volta al servizio di un’interpretazione volutamente (e splendidamente) ingannevole nella quale anche lo spettatore è indotto a credere e a cedere al suo fascino, benché si scorgano fin da subito le evidenti ombre.

L’incubo che in questo caso è descritto nel film di Ponsdolt è talmente agli antipodi rispetto a quello orwelliano che si potrebbe definirlo l’estremo opposto in una ipotetica circonferenza . Un estremo che inevitabilmente tocca l’altro estremo. Se in 1984 il Grande Fratello sorvegliava tutti i cittadini, nella visione di Ponsdolt (e Dave Eggers prima di lui) tutti sorvegliano tutti, anche quelli che non fanno uso di Internet e dei suoi servizi. È un incubo che non proviene solo dall’alto ma anche e soprattutto dal basso e nel quale il senso di giudizio e misura sono obnubilati dalla frenesia di utilizzo di un mezzo e dal rassicurante senso di appartenenza a una rete, visceralmente, social. Quindi sì il tema portante è ancora una volta l’eccessivo potere nella mani di una sola persona, in questo caso chi controlla tutti i dati, ma affiancato da uno strabordante potere maldestramente distribuito nelle mani di tutte le altre. La perdita di controllo è dietro l’angolo.
E proprio come in Black Mirror, anche in The Circle la perdita di controllo nei confronti della tecnologia e delle sue implicazioni è ciò che innesca la tragedia che colpisce i personaggi. Ma chi pensava (io per primo) che The Circle non fosse altro che un mega-puntatone di Black Mirror, dovrà ricredersi, poiché se Black Mirror è una serie di incubi possibili claustrofobici e vertiginosi, The Circle è più pacato e meno disfattista; è un manifesto, chiaro e lucido, che invita a una riflessione critica, diretta e onesta non solo su ciò che potremmo diventare ma che in buona parte siamo già. E che, almeno nel film, non vuole solo spaventare e inorridire ma anche lasciarci con un velo di speranza.

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