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The Circle – Condivisione e trasparenza, derive social

Il nuovo film di James Ponsoldt, già regista di The end of the tour e The spectacular now, è un dramma fantascientifico, adattamento del romanzo omonimo, uscito nel 2013, scritto dallo statunitense Dave Eggers. Il tema centrale sono i social, la vita nei social. Questa sorta di mondo parallelo che prima affianca poi ingloba e sottomette la vita al di fuori del social stesso. Non è una simbiosi mutualistica tipo attinia e paguro, è piuttosto un parassitismo.

Il film si domanda: quanto siete disposti a condividere di voi stessi? È il potenziale inespresso quello che spaventa la protagonista, così lei dice. The Circle potrebbe benissimo essere una puntata della nota serie Black Mirror, i pericoli e la deriva dell’uso sovrabbondante della tecnologia.

The Circle è un’azienda di telecomunicazioni dove tutto deve essere condiviso e trasparente, come trasparente sarà la protagonista, Mae, la cui vita diverrà uno show per tutti gli spettatori online. Interpretata da Emma Watson, Mae Holland viene assunta e poi convinta – non che lei opponga resistenza, anzi – da Eamon Bailey, co-fondatore dell’azienda, interpretato da Tom Hanks, a vivere con una videocamera perennemente appiccicata addosso, e lo fa con entusiasmo, un nuovo The Truman Show, ma la diretta interessata ne è consapevole e felice, non come il povero Truman Burbank.

L’inizio del film è buono, coinvolge lo spettatore, la trama quasi lo inquieta mostrando come nel tempo di un istante si possa reperire e conoscere ogni cosa riguardo una persona e la sua vita, come tutto sia sotto gli occhi di tutti, sotto gli occhi delle telecamere, sotto stretto controllo della tecnologia e di chi detiene il “potere della tecnologia”. Sembra un preludio a qualche colpo di scena, a qualche sensazionale sorpresa, a qualcosa che di fatto non arriverà mai. Il limite del film è questo, iniziare innumerevoli spunti diversi, la maggior parte dei quali senza dubbio interessanti, senza mai concluderne uno, che siano domande sulla tecnologia oppure vicende della trama, e così rimane una narrazione che sembra un accostamento di momenti più che un flusso costante, e una sequenza infinita di quesiti stimolanti che non trovano risposte esaurienti.

C’è poi quello che possiamo definire un errore di fondo: anche se il film è ispirato al romanzo di Eggers e quindi si attiene alla trama del libro, sembra arrivare in ritardo. Ci mostra come futuro qualcosa che è già, siamo già in una società assuefatta dalla socialità virtuale. Il down di Whatsapp, avvenuto mentre guardavo il film, ha creato agitazione e scompiglio su tutti i restanti social per l’impossibilità di comunicare velocemente con altre persone (l’ho scoperto una volta a casa. Sono, credo, uno degli ultimi rimasti a non avere internet sul cellulare, ndr) più di quanto abbiano fatto le reciproche minacce tra Trump e Kim Jong-un, che avrebbero come conseguenza “solo” una guerra nucleare. Siamo già profondamente immersi in quello che viene definito futuro: le storie, i live, l’abitudine alla condivisione che si sta sempre più sedimentando come pratica quotidiana, sono cose che già esistono. Sono già esistenti persino le derive che il film in un certo senso prospetta, recenti sono i casi di omicidio in diretta Facebook negli Stati Uniti. Il film profetizza in ritardo.

Sicuramente è una buona volontà quella di farsi domande sulle nuove tecnologie, sui nuovi social ma, forse, più che chiedersi dove finiremo sarebbe meglio cominciare a farsi domande su come utilizzare al meglio e con utilità quanto già esiste. Siamo dei neo-primitivi in un mondo di novità, abbiamo scoperto il fuoco, ora dobbiamo imparare ad usarlo.

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