Cina e Corea del Nord: relazioni sempre più difficili
La Corea del Nord preoccupa gli osservatori internazionali e, straordinariamente, anche la Cina, unico partner significativo di Pyongyang (Capitale della Repubblica Popolare Democratica di Corea); in particolare, da quando Kim Jong Un, figlio di Kim Jong II, deceduto nel 2011, e nipote del fondatore della nazione Kim Il Sung, salì al potere.
Kim, che prese il posto del padre all’età di ventisei anni, ha oggi poco più di trent’anni e questo lo rende il capo di Stato più giovane del pianeta. Egli conosce il mondo occidentale, più di preciso la cultura europea, in quanto studiò con i suoi fratelli maggiori a Berna, in Svizzera, ed ebbe l’abitudine di giocare a basket quasi tutte le sere, parlando tedesco con amici che, ovviamente, non conoscevano la sua vera identità. I suoi fratelli, ritenuti non idonei e non abbastanza determinati dal padre, non furono considerati per la successione, ma ottennero, in compenso, cariche militari di rilievo.
Nonostante l’influenza occidentale, il dittatore nordcoreano non sembra disposto ad allentare il dispotismo del suo governo che si basa su di una forte ideologia, culto della personalità e repressione politica, evidenziata dall’odierna e significativa presenza di campi di prigionia. Si stima che il più tristemente noto, il campo di Yodok, situato a circa 110 km. dalla capitale, ospiti circa cinquantamila detenuti e che i morti nei campi di lavoro siano centinaia di migliaia nel Paese. La biografia Fuga dal campo 14 di Shin Dong-Huyk, esule nordcoreano residente in Corea del Sud, descrive in modo preciso e con crudo realismo la vita terribile dei prigionieri nordcoreani. Secondo l’Asian institute for policy studies, inoltre, vi sono decine di migliaia di nordcoreani sfruttati all’estero. Marzuki Darusman, relatore speciale dell’ONU per i diritti umani in Corea del Nord, denuncia la presenza di lavoratori nordcoreani in condizioni di lavoro forzato che operano in aziende straniere, in particolare cinesi e russe, al fine di garantire valuta straniera al regime di Pyongyang. Nel 2012, il North Korea strategy center stima che il governo nordcoreano ricavi quasi l’equivalente di due miliardi di dollari l’anno dalle ingenti detrazioni ai danni dei sicuramente non lauti stipendi dei lavoratori. Questi vivono in condizioni degradanti, lavorano diciotto ore al giorno, tranne durante la sentita ricorrenza del defunto Kim Il Sung, definito “Leader eterno” della Nazione dal partito, e, ancora oggi, venerato e considerato come vivente. Il lavoro forzato, per giunta, riguarda soltanto una delle sistematiche violazioni dei diritti umani praticate dalla Corea di Kim. Darusman, infatti, chiese che il regime venisse denunciato alla Corte penale internazionale per aver violato la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici del 1976. Nondimeno, la Cina mise il veto, in qualità di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU, ad una risoluzione in merito, al fine di mantenere lo status quo. Il gigante asiatico, tuttavia, sostiene sempre con meno entusiasmo il sordo governo di Kim Jong Un, mentre crescono le relazioni economiche con la Corea del Sud e il Giappone, che sono i nemici principali di Pyongyang.
Poche settimane fa, tredici lavoratori nordcoreani di un ristorante nei pressi della città cinese di Ningbo hanno disertato in massa, fuggendo nel Sud attraverso Laos e Thailandia, come riferisce l’agenzia Yonhap. Nell’aprile dello scorso anno, invece, vi furono tensioni diplomatiche tra la Repubblica popolare di Corea e quella cinese a causa dello sconfinamento di alcuni soldati della venticinquesima brigata nordcoreana che portò all’uccisione di alcuni civili cinesi. Le cause del gesto vanno ricercate tra le motivazioni di carattere umanitario, prima tra queste la fame. Xi Jinping, il presidente cinese, pertanto, ha aderito alle sanzioni internazionali a danno del vicino, già prossimo all’autarchia economica e alimentare, se non fosse per le costanti relazioni con Pechino. Poco meno di un mese fa, il Ministero del commercio cinese ha dunque vietato l’importazione di oro e gemme rare dalla Corea del Nord e l’esportazione di prodotti petroliferi. Tuttavia il partito cinese non intende provocare una catastrofe umanitaria, in quanto il collasso del regime causerebbe un esodo verso la confinante Cina e i danni economico-sociali sarebbero a dir poco numerosi. In aggiunta, in caso di una crisi nordcoreana, Pechino sa di doversi ulteriormente preparare a prendere parte ad una possibile escalation tra Pyongyang e Seul che condurrebbe ad una presenza degli americani più prossima ai confini sino-nordcoreani.
Il regime guidato dai Kim, oggi, si rivela quindi un satellite e un alleato importante per i cinesi, anche se, in modo graduale, sempre più scomodo.