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Chi vince il Gioco delle Imitazioni?

“Può una macchina pensare come un essere umano? Molti dicono di no. Il problema è che è una domanda stupida. È ovvio che le macchine non possono pensare come le persone. Una macchina è diversa da una persona e pensa in modo diverso. La domanda interessante è: poiché qualcosa pensa diversamente da noi vuol forse dire che non sta pensando? Noi ammettiamo che gli esseri umani abbiano divergenze gli uni dagli altri. Lei ama le fragole, io odio pattinare, lei piange ai film tristi, io invece sono allergico al polline. Qual è il punto di avere gusti diversi, diverse preferenze se non mostrare che i cervelli lavorano diversamente e che pensiamo diversamente. E se diciamo questo delle persone non possiamo dire lo stesso di cervelli fatti di rame e acciaio e cavi?” Così Alan Turing, nel film The Imitation Game, cerca di far capire ad un ufficiale di polizia la verità su alcuni degli “atti osceni” dei quali veniva accusato. Turing accusava di chiusura mentale chi lo accusava di esagerazione.

Quello delle intelligenze artificiali è un problema di autorità: la macchina può rivestire la posizione che l’uomo occupa nel mondo? Può fare le sue stesse cose, o comunque, può farne alcune di grande portata come “pensare”?

Turing mette in gioco una relazione di somiglianza tra l’uomo e la macchina, o meglio, tra la mente umana e mente artificiale. La somiglianza deriva dal fatto che sia l’uomo che la macchina sembra possano pensare e comportarsi in maniera intelligente. Per i promotori dell’IA (Intelligenza Artificiale n.d.r.) la mente umana e la mente artificiale hanno quindi in comune la capacità di risolvere problemi, ma non per forza il modo esatto in cui lo fanno, ma questo basta a renderle intelligenti. Per Turing, infatti, dire che una macchina “pensa” vuol dire che riesce a produrre espressioni con un qualche significato, concatenare idee e esprimerle attraverso metodi computazionali. Non si ammette che la qualità del pensiero umano possa essere eguagliata perfettamente, ma che quel che la macchina riesce a fare è comunque “pensare”. E’ sufficiente definire il pensiero come un calcolo e la mente umana come il prodotto di un insieme di calcoli eseguiti dal cervello, a questo punto, che la “mente” di una macchina faccia esattamente questo è evidente.

Una macchina può diventare sempre più umana, a modo suo, affinare i suoi contatti con il mondo esterno, migliorare i meccanismi del suo mondo interno e, soprattutto, migliorare la vita di chi la circonda. Nel film, Turing è molto chiaro a riguardo: per decifrare i codici nazisti non sarebbero bastati 10.000 uomini competenti contemporaneamente (ognuno impegnato a decifrare un codice) perché il problema richiedeva una quantità e una qualità di lavoro che l’uomo non poteva umanamente reggere. L’uomo avrebbe impiegato molto tempo nell’impresa e di tempo non ne avevano, la macchina invece poteva e ha “vinto la guerra”. Per Turing a quest’ora dovremmo già passeggiare per strada con una delle sue “figlie”, tanto sofisticata da ingannarci e vincere il Gioco delle Imitazioni.

Gli oppositori a questa teoria credono che una relazione tra mente umana e macchina non sia affatto di somiglianza. “Può una macchina pensare come un essere umano?” No, perché quello che fa non è pensare. Un computer è un semplice manipolatore di simboli e potrà al massimo “simulare” alcuni processi cognitivi umani senza riuscire a riprodurli completamente. Nella relazione tra mente umana e mente artificiale, la prima sarà sempre necessaria alla seconda. Quando pensa, la mente umana non “calcola” ma “sintetizza” le cose che ha attorno, ne è cosciente e ne fa un uso intenzionale. Il computer ha un tempo e dati limitati, ad un certo punto non saprà più che fare.

I rischi di un’impresa come quella delle IA sono assai seri: affinare le capacità di una macchina che non è in grado di “decidere” cosa fare, per quanto sia programmata bene, vuol dire dare potere a uno strumento non sempre controllabile. L’auspicio è limitarsi, ma quale garanzia abbiamo? Come la pallina sul piano inclinato scivolerà piano piano, in maniera impercettibile, ma inevitabile, così il passo che supera il limite consentito potrebbe essere compiuto senza saperlo.

La verità sulla “figlia” di Turing è che sarà sempre figlia di suo padre e suo padre, l’essere intelligente per eccellenza, è per sua natura limitato. E’ limitato nel bene e nel male, ha bisogno delle macchine a causa dei suoi limiti ma ha bisogno comunque di un freno per non essere lui stesso causa dei suoi mali. La magica consolazione per l’uomo è che il limite è l’unica cosa che lo può aiutare. Le macchine intelligenti vivranno lo stesso destino dell’uomo nel paradosso del mentitore: come l’uomo non potrà mai decidere se è vero o meno che Marco mente quando dice “sto mentendo”, allo stesso modo una macchina, per quanto tecnologicamente superiore, non saprà mai tutto e, pur potendo formulare sempre nuove cose, non potrà mai deciderne la validità. Esiste l’elemento sorpresa, esiste l’evento inatteso e la macchina saprà sorprendersi e dubitare (a modo suo) come l’uomo. Se la macchina è figlia di suo padre allora erediterà da brava figlia almeno qualcuno dei suoi limiti.

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