Chi ha paura dei bambini stranieri?
“Proprio oggi un altro bambino è morto per mare”, si apre così la conversazione su razzismo e xenofobia tra Luigi Manconi, senatore e professore di sociologia, critico musicale ed esponente politico prima dei Verdi e poi del PD, originario di Sassari, e Gianni Francioni, professore di Filosofia presso l’Università di Pavia, anch’egli sardo, conversazione intitolata, per una strana ironia della sorte, “Chi ha paura dei bambini stranieri?”
L’incontro, tenutosi presso l’aula Goldoniana del Collegio Ghislieri il 18 gennaio in occasione della pubblicazione del volume Non sono razzista, ma… a cura dello stesso Manconi e di Federica Resta, si pone l’obbiettivo di fare chiarezza sulle tematiche di xenofobia, razzismo, ius soli, immigrazione, integrazione. Ed è proprio sui primi due concetti che si sofferma inizialmente Luigi Manconi, sottolineandone le differenze di significato: xenofobia è paura dello straniero, dell’ignoto, dello sconosciuto, è qualcosa di connaturato all’animo umano, ce lo dice l’antropologia, ce lo dice la Storia. E in momenti di crisi, come quello attuale, l’uomo non riesce a far altro che trovare un capro espiatorio, un responsabile, una causa su cui riversare tutte le proprie tensioni, le proprie insicurezze, che si focalizzano “Su un estraneo tuttavia vicino, su un diverso tuttavia alla nostra portata”. Ed ecco perché, se manca una risposta politica forte all’insicurezza, se non la si affronta, la xenofobia rischia di degenerare in razzismo. Di fronte all’avanzare di quelli che Manconi chiama gli imprenditori politici della paura, le destre più estreme, non si manifesta una reazione da parte della “Politica buona”. Nemmeno quando essa stessa viene attaccata. Emblematico è il caso Calderoli-Kyenge. Quando il vicepresidente del Senato definisce “simili a quelle di un orangotango” le sembianze del ministro Kyenge, il governo si mostra incapace di qualsiasi mossa, e quando vengono proposti provvedimenti contro Calderoli soltanto quarantuno senatori si pronunciano favorevoli, contro duecentocinquanta contrari: tra essi esponenti della stessa ala politica della Kyenge.
Altro caso emblematico dell’incapacità di azione è il naufragio dello ius soli, provvedimento depositato alla Camera il 5 febbraio 2012, sotto forma di legge di iniziativa popolare, e approvato nell’ottobre 2015, tramite l’assemblaggio del testo di iniziativa popolare e di altre venti proposte di legge. La riforma sarebbe dovuta essere votata a fine 2017 anche in Senato, ma così non è stato, perché il governo ha deciso di rimandarne l’approvazione alla successiva legislatura: sarebbe stato un provvedimento troppo pericoloso se attivato in prossimità delle imminenti elezioni. La norma non è stata approvata a causa dell’assenza di numerosi parlamentari, esponenti sia delle destre oppositrici, che delle sinistre, le quali si sarebbero dovute dimostrare, almeno in teoria, favorevoli. Non avrebbero avuto comunque i numeri necessari per l’approvazione del testo, ma i senatori di PD e SEL, tanto per citare due nomi, avrebbero dovuto almeno presenziare in aula, mostrandosi attenti e attivi, non indifferenti. La norma, che secondo Francioni sarebbe stata un piccolo passo in favore di un ridotto numero di minori stranieri – si parla di circa 800.000 ragazzi -, rappresenta invece, per Manconi, l’ennesimo segno di debolezza, l’ennesima dimostrazione di assenza, di incapacità della politica sociale di dare risposte alle insicurezze degli italiani.
La legge che, ad oggi, nel nostro paese, regola il diritto alla cittadinanza è stata approvata nel 1992 e si basa sostanzialmente sul cosiddetto ius sanguinis: è considerato italiano chiunque abbia almeno un genitore italiano, indipendentemente dal luogo di nascita. È possibile acquisire la cittadinanza italiana per naturalizzazione o matrimonio. La riforma approvata alla Camera nel 2015 prevede, invece, il cosidetto ius soli temperato, ovvero: qualunque bambino nato in Italia diventa automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno cinque anni. La vera novità, integrata nella riforma, è quella dello ius culturae. Questo legherebbe il diritto di cittadinanza al fondamentale tema dell’istruzione: ogni bambino è figlio della cultura che acquisisce, per questo, diventerebbero italiani i minori stranieri nati nel nostro paese, o giuntivi entro i dodici anni, che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni o abbiano superato almeno un ciclo scolastico italiano.
Lo stesso Manconi sottolinea l’importanza dell’istruzione, strumento per l’integrazione culturale, fondamentale per la non ghettizzazione e autoghettizazzione delle popolazioni straniere. Queste genererebbero, infatti, soltanto altra paura, che copriremmo con una nuova ondata di indifferenza.
Per concludere con le parole di un altro intellettuale sardo, Antonio Gramsci: “L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza.”