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Cenere, o terra – Fabio Pusterla

Cenere, o terra che secca si cavi, / d’un color fora col suo vestimento; / e di sotto da quel trasse due chiavi. Sono i versi 115-117 provenienti dal IX canto del Purgatorio di Dante e descrivono l’umile tunica dell’angelo “portinaio” a guardia dell’entrata del Purgatorio. L’incipit del verso 115 dà il titolo alla nuova raccolta di Fabio Pusterla, Cenere, o terra (ed. Marcos y Marcos, 2018), presentata dall’autore durante l’incontro tenutosi presso l’Università di Pavia, martedì 26 febbraio 2019.

Nato nel 1957 a Mendrisio, nel Canton Ticino, laureato in Lettere all’Università di Pavia, Fabio Pusterla insegna oggi al Liceo cantonale di Lugano. Il suo “ritorno” presso l’Ateneo pavese nasce dall’intento di far partecipi soprattuto gli studenti di un dialogo culturale; dialogo che è stato introdotto dalla prof.ssa Gianfranca Lavezzi e coordinato da Demetrio Marra e Noemi Nagy, studenti in Filologia Moderna presso l’Ateneo medesimo.

Pusterla dà avvio alla presentazione della nuova raccolta attraverso la lettura di una serie di poesie scelte. Al di là del richiamo strettamente letterario a Dante, il titolo mette in evidenza due elementi chiave per la loro valenza simbolica: la cenere – che rimanda ad un’idea di sfacelo, ma anche di rinascita – e la terra, la terra come madre e, dunque, fonte di vita. Non solo, cenere è termine che compare già nel titolo di una piccola silloge di testi, Variazioni sulla cenere (ed. Amos, 2017), le cui liriche fanno integralmente parte di Cenere, o terra.

L’incontro è occasione per la lettura di una serie di testi della nuova raccolta. La scelta che opera Pusterla è significativa poiché decisa a evidenziare per il pubblico i temi più cari del suo fare poesia. Si passa da Fantasmi ad un concerto di Terry Blue e Forza luna Ultimi cenni del custode delle acque, poemetto di 33 componimenti che declina l’immagine dell’acqua in svariate accezioni. La storia individuale del poeta è tratteggiata dalla prima lirica, in cui appaiono il figlio e il padre morto dell’autore (rispettivamente il Terry Blue del titolo e un fantasma tra i Fantasmi); essa si inscrive in un circuito più ampio, quello della storia “evenemenziale”, la cosiddetta Storia con la ’s’ maiuscola, adombrata nelle espressioni antico disastro (v. 22), nuovo secolo e dolore futuro (v. 26). In Forza Luna si evocano gli antichi riti propiziatori (una storia sociale?) attraverso i quali si incitava la luna a dare buoni raccolti e a un tempo si dà forma ad un simbolo di speranza che si potenzia nei versi finali ([…] Ma sì, forza, vai / avanti, piccola luna, non cedere. Cammina., vv. 13-14). Ultimi cenni del custode delle acque, presenta una genesi suggestiva. Traendo ispirazione da un toponimo quasi mistico, La Casa del custode delle acque di Vaprio d’Adda, il poemetto si sbizzarrisce nel fornire un’immagine multiforme dell’acqua nelle sue cangianti espressioni.

Pusterla potrebbe leggere molte altre liriche della raccolta, ma bastano queste a mettere in evidenza due tratti essenziali della sua concezione poetica, e cioè il fatto che, da un lato, la poesia deve essere storia, portatrice di un messaggio non avulso dal tempo, non concentrata esclusivamente sull’individualità (per poesie di questo genere Pusterla non spende le migliori parole), dall’altro, pur non dovendo rinunciare a una sua simbologia, non deve risultare a tutti i costi oscura. «Non dico ‘albero’, uso un nome preciso» dice il poeta di sé e corrobora questa sua dichiarazione affermando di sentirsi più vicino a Dante (Cenere, o terra è il titolo della raccolta) che a Petrarca. E ancora, egli afferma che, persino quando la storia nel suo essere travolgente diventa priva di senso, anche in queste circostanze, la sua «vertigine temporale» è preferibile a tutto. Del resto, il poeta ha avuto modo di sostenere che sebbene la memoria, la prospettiva storica siano «minacciate da un generale appiattimento, la ferma coscienza del debito contratto […] non è forse soltanto un segno di gratitudine, ma un atto di speranza e di responsabilità» (dall’Introduzione al saggio Una luce che non si spegne – Luoghi, maestri e compagni di vita, ed. Casagrande, 2018).

Quel che certamente ha più caratterizzato l’incontro è stato il dialogo tra Pusterla e i suoi principali interlocutori, Noemi Nagy e Demetrio Marra. Le loro domande spingono il poeta a fornirci dettagli in più sulla sua figura artistica e umana. A Noemi Nagy, che gli chiede del rapporto con i suoi maestri, egli risponde fornendo un elenco ricco di nomi illustri. Due nomi, però, brillano sugli altri, e sembrano occupare una posizione privilegiata nell’animo dello scrittore svizzero. Sono quelli di Jolanda Fuhrmann e di Maria Corti. Della prima, dell’insegnante di lingua francese, ci racconta come spronasse costantemente i suoi alunni, desiderando per loro di ouvrir un peu les fenêtre, cioè di ‘schiudere un poco la finestra’, di lasciare aperto uno spiraglio verso il futuro, dando loro un senso di vastità che Pusterla ancora percepisce dietro la sua immagine. Il ricordo di Maria Corti è, forse, più toccante. Lei, la maestra, la professoressa universitaria, che costantemente lo ha indirizzato con il suo magistero, spronandolo ad andare sempre avanti, a non lasciarsi vincere dal caos degli avvenimenti, perché «la disperazione è un lusso borghese» (parole di Maria Corti riferite da Pusterla). Di lei Pusterla tratteggia un commosso ritratto nelle prose di Una luce che non si spegne – Luoghi, maestri e compagni di vita (ed. Casagrande, 2018) e, soprattutto, nelle tre liriche che compongono Congedo da Maria (da Folla sommersa, ed. Marcos y Marcos, 2004), in cui Maria Corti (presentata affettuosamente attraverso l’impiego del solo nome proprio) appare quale “donna angelicata”, come colei che ha sempre presente l’attenzione alla vita in ogni forma, perché ha compiuto un’assoluta / scelta di campo, non un semplice / metodo (vv. 12-14 della seconda lirica di Congedo a Maria), come colei cui dire addio suscita un’immensa commozione e un immenso dolore.

Demetrio Marra, partendo dalle idee che il poeta ha espresso riguardo la lirica del Novecento nel saggio Il nervo di Arnold e altre letture – Saggi e note sulla poesia contemporanea (ed. Marcos y Marcos, 2007), invita Pusterla a considerazioni di ordine stilistico, chiedendo anche di qualificare la posizione del suo “io lirico”, spronandolo e invitandolo alla lettura di poesie provenienti anche da altre raccolte. Per Pusterla, la poesia (e il poeta con essa) deve stare sul margine, sulla riva, in una località che è ovunque e in nessun luogo. Non è casuale che egli indichi nel terrein vague, ‘il terreno indefinito, «la zona travolta su cui può nascere qualcosa di imprevedibile […] il luogo […] dei mostri e degli angeli, delle creature ibride», la sua collocazione ideale. Dove tutto sembra franare il poeta tenta una ricomposizione. Pertanto le coppie ossimoriche evidenziate da Demetrio Marra attraverso la lettura di un gruppo di poesie scelte (qui l’articolo che le riporta), coppie quali impronunciabili presagi, mobili fondali, notte inattesa (rispettivamente, vv. 9, 13 e 17 di Paradiso, Caprino, Cavallino), sono i segni di un’opposizione (realizzata più specificatamente attraverso sineciosi, sottolinea Pusterla) che il poeta tenta di superare, di ricomporre e anche di comprendere. Afferma, inoltre, l’autore che il suo non può definirsi uno stile compatto, piuttosto il frutto di uno sperimentalismo costante, determinato anche dalla condizione “eccentrica” da cui scaturisce il suo versificare, ovvero da quella marginalità di cui sopra.

Ricordando le parole di Borges che Maria Corti impiegò per recensire la sua prima raccolta, Concessione all’inverno (ed. Casagrande Bellinzona, 1985), parole secondo le quali un poeta può «versificare dieci o dodici volte nel corso naturale della sua vita», Pusterla appare quasi intimorito: questa è la sua ottava raccolta! Ciononostante, Cenere, o terra non rappresenta certamente un approdo a un che di definitivo, bensì uno slancio verso nuove possibilità artistiche, verso la realtà, verso il mondo. Uno slancio condensato dalla Preghiera alla rondine, lirica posta a prologo della raccolta, e dallo sguardo di Lucio (nome che porta in sé l’idea della luce, ma che è anche il nome del nipotino) in epilogo, Lucio che porta ogni cosa in sé, porta anche noi (v. 12, Lucio).

Da Folla sommersa (ed. Marcos y Marcos , 2004) in Le Terre Emerse – Poesie Siete 1985-2008 (ed. Einaudi, 2009)

Congedo da Maria

È da attente misure
che nascono
i fantasmi

SADRO SINIGAGLIA

I
Il creatore di Bug’s Bunny fa notizia, quando muore.
Più di quanto
faccia notizia tu, che nel silenzio di una casa castello
o trincerata in un bunker di libri alto su Milano
parlavi con gli antichi e coi moderni, e parlavi d’amore
e conoscenza. Ginevra, Artù,
lo strano gatto di Losanna: si saranno fermati a salutarti,
dritti sul mare del mosaico d’Otranto. E Cavalcanti
padre
stavolta avrà sorriso: a passare era un’amica più fedele.
Su una roccia
si può pesare l’ombra grande di Fenoglio
she spara a salve in aria. E quali altri
ti avranno accompagnato fino all’ultima proda: dove
Ulisse
sarà stato magnanimo e cortese accogliendoti a bordo.
Se ora salpi
verso un luogo davvero mentale.

(Chiusi nei cimiteri di una nota a piè di pagina
tetri addetti al catasto letterario si scambiavano motti salaci.
        Perché in fondo
eri solo una donna, una donna nel tempio, e troppo audace.
Anche di questo rideva il tuo riso
mordace)

II

C’erano tronchi e neve. Un’acqua grigia
splendida dentro il gelo. Lucus Magnus, dicevi,
ormai fa parte
di me. L’immaginario
si nutre di ogni cos che comprende
l’io e lo rapisce dal sé. Poteva essere
una gita imprevista ai Grandi Laghi, il cratere nero
dell’Etna, o la battuta
sapida di un cronista bizantino, di un romanzo
che altri fingevano di leggere e tu invece leggevi.
Poteva essere tutto, l’alto e il basso.
L’attenzione alla vita in ogni forma, un’assoluta
scelta di campo, non un semplice
metodo.

III

«Non fidarti, ragazza, che i poeti
sono fatti così: che dopo sette
anni, quando va bene, si distraggono
e ne cercano un’altra. Brutta razza».
Volevi che ci sposassimo,
provavi ogni argomento. Scodellavi
Calvino, Sartre, Paolazzi, auctoritates.
Ma io mi arrangiavo in cucina,
scrivevo qualche poesia, non facevo il poeta.
Non ci sposammo subito,
ma tu eri lo stesso contenta.

Tommaso Romano

Redattore per «Inchiostro». Studente di «Antichità Classiche e Orientali» presso l’Università di Pavia, è appassionato di troppa roba. Cento ne pensa, cento ne fa, cento ne scrive (o vorrebbe).

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