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Caso Alpi-Hrovatin: le indagini non si fermano. Il gip rifiuta l’archiviazione.

20 Marzo 1994, Mogadiscio, Somalia. Ilaria Alpi, 33 anni, e Miran Hrovatin, 45 anni, vengono uccisi da un commando armato mentre viaggiano sulla loro auto. Ilaria è un’inviata del Tg3 mentre Miran è il suo operatore. Lavorano insieme da alcuni anni e si trovano in Somalia per raccontare la missione Onu “Restore Hope”, volta a pacificare il territorio somalo, dilaniato da scontri interni. Durante la sua inchiesta la giornalista, però, indaga in particolare sul mercato di armi e rifiuti tossici tra Italia e Somalia e del possibile coinvolgimento di attori e capitali italiani, soprattutto provenienti dai fondi per la cooperazione.

Le indagini per scoprire i mandanti appaiono fin dall’inizio molto complesse e più volte si arriva a conclusioni contraddittorie: solo dopo anni si ha la definitiva certezza che il colpo fatale sia stato sparato a distanza ravvicinata e che quindi si sia trattato di una vera e propria esecuzione. Chi indaga deve districare una fitta rete di tentativi di depistaggio che fanno apparire la verità sempre più lontana. L’iter giuridico si dimostra contorto e le sentenze vengono più volte ribaltate in appello. L’unico condannato per quegli omicidi, perché considerato membro del commando armato, ha scontato 17 anni da innocente. Hashi Omar Hassan, viene accusato da un testimone, che sostiene di essere stato presente al momento dell’agguato, e dall’autista di Ilaria. Quest’ultimo muore in circostanze sospette appena tornato in Somalia, dopo essere stato ascoltato dai pm italiani. Ali Ahnmed, detto Jelle, l’altro testimone, fa perdere le sue tracce, dopo aver rilasciato la sua deposizione. Dopo un lungo iter giudiziario, che lo vede inizialmente innocente, il sospettato viene condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma. La condanna viene poi commutata in 26 anni di carcere; molti non credono nella colpevolezza dell’uomo, e tra questi vi è anche la famiglia Alpi.

Nel 2004 viene istituita una commissione bicamerale per far luce sul caso Alpi-Hrovatin: nel 2006 viene approvata a maggioranza una verità politica che scontenta profondamente i genitori delle vittime e le associazioni dei giornalisti. Utilizzando le parole del presidente della commissione, Carlo Taormina, deputato di Forza Italia, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin “erano in vacanza in Somalia, non stavano conducendo nessuna inchiesta: la Commissione lo ha accertato”. Non tutte le parti politiche concordano con questa conclusione: l’opposizione concorda sul fatto che gli omicidi siano legati al traffico di armi e rifiuti tossici tra Italia e Somalia.

Nel frattempo, la verità giuridica sembra sempre più lontana: nel 2007 arriva la prima richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero cui è affidato il caso, il quale ritiene che non possano essere identificati altri responsabili dell’omicidio al di fuori di Hashi Omar Hassan. Il giudice per le indagini preliminari respinge la richiesta ribadendo che l’assassinio dei due giornalisti è stato un omicidio su commissione da ricollegare alle loro inchieste sui rifiuti tossici e sulla cooperazione italiana. A conferma della veridicità di questa interpretazione dei fatti si dimostrano anche alcuni documenti del Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare, desecretati grazie all’intervento della Presidente della Camera Laura Boldrini, nel 2013. Alcune note del 1994 accertano definitivamente e inconfutabilmente che gli omicidi siano da ricondurre alle inchieste delle due vittime. Nel 2015, grazie alla giornalista di Chi l’ha visto? Chiara Cazzaniga, Jelle viene rintracciato nel Regno Unito dove ammette di essere stato pagato per offrire falsa testimonianza; l’uomo non era neanche sul luogo dell’agguato il giorno degli omicidi. Per questo Hashi Omar Hassan viene scarcerato nel 2016, dopo 17 anni. In quella sede il Tribunale di Perugia riconosce la presenza di “un’attività di depistaggio di ampia portata” che ha interessato le indagini sul caso dei due giornalisti.

Nel 2018 viene depositata un’altra richiesta di archiviazione da parte del pm il quale ritiene impossibile identificare i mandanti. Il 4 ottobre 2019 il gip respinge ancora una volta tale richiesta, disponendo nuove indagini. Il giudice riconosce, nuovamente, che la vicenda è stata “segnata da tanti lati oscuri e financo da errori giudiziari” e che la nuova indagine “deve essere completa, esauriente ed approfondita tanto più in relazione a vicende come questa, assai complesse costellate di episodi quantomeno singolari se non addirittura dolosi, che hanno reso assai più arduo l’accertamento della verità dei fatti”. Il gip richiede inoltre di acquisire i fascicoli relativi all’uccisione di Mauro Rostagno, giornalista ucciso dalla mafia nel 1988, per ricercare eventuali collegamenti tra i due episodi.

Ad oggi, la verità non sembra essere più vicina di quanto lo fosse 25 anni fa. Luciana, la madre di Ilaria, è sempre stata il volto della lotta per la giustizia: è morta, circa un anno fa, senza conoscere il motivo per cui sua figlia sia stata uccisa a 34 anni e con la preoccupazione che il processo che avrebbe potuto accertare la verità storica venisse archiviato. Oggi sappiamo che non sarà così e speriamo che questo percorso d’indagine abbia finalmente un termine, che non sia l’oblio, ma l’individuazione del mandante e dei responsabili dell’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

[Foto da archivio Ansa]

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