“Caro Babbo Natale…”
di Stefano Sfondrini
L’uomo anziano entra stanco nella stanza. Si toglie giacca e cappello, e si sdraia su un comodo divano.
«Non manca molto: Natale è alle porte.
Ma senza qualcuno che vada ad aprire, avrò fatto tanta strada per nulla.
Sinceramente non sono sicuro di arrivare, quest’anno. Tra antiche profezie sudamericane e moderno disincanto occidentale, quasi quasi me ne sto qui. Non sono più il vecchio arzillo ritratto sulle bocce di Cola. Ormai sono depresso, a tratti paranoico. Sono arrivato a riempire la casa di specchi perché se non mi vedo non ci credo più nemmeno io. La cosa che però mi perplime maggiormente è vedere come sempre più gente abbia smesso di darmi credito – in nome di età adulta e razionalità – pur senza rinunciare all’oroscopo quotidiano.
La crisi, poi… Il “caro Babbo Natale” assume tutto un altro significato. Sono dovuto arrivare a farmi pagare l’uscita. Per quelle poche notti al lustro in cui esco. Oggidì quando i bambini pensano alle letterine non hanno in mente carta e penna ma petti e cosce. Anche perché non serve più “fare i bravi” per conquistare doni sognati durante il resto dell’anno, portati da me. Basta fare le frigne senza aspettare il 25 dicembre per ottenere qualsiasi cosa da genitori sempre più etimologici e sempre meno educatori.
La vecchina del 6 gennaio non sta messa meglio: dopo anni di viaggi notturni con le calzature disfatte, i malanni si sono fatti sentire. Anche lei ora viaggia su poltrona semovente badante motorizzata. E le feste? Se le porta via direttamente Equitalia, con largo anticipo. Mentre invece i suoi colleghi monarchi, nonostante la pluriennale esperienza nel campo astrologico, trovano più comodo portare oro, incenso e gommaresina aromatica in Palestina seguendo le scie di aerei e razzi, non più la cometa.»
Un altro uomo prende appunti, seduto a una scrivania fuori dalla vista dell’anziano.
«E non le ho ancora parlato delle cose brutte, dottore.
Una volta ero praticamente l’unico ad essere “globale” e connesso a tutto il mondo, per ovvie ragioni lavorative. Ora che grazie a Steve Jobs e alla tecnologia lo sono anche i miei aiutanti elfi, non stanno tranquilli un attimo. Dicono che vogliono più sicurezza sul lavoro, più tutela, vogliono dei sindacati. Certo, non è proprio come si racconta: non lavorano solo una notte all’anno, ma li ho sempre trattati come servi, mica come schiavi. Non hanno neanche le catene – infatti quando escono dal laboratorio, sa che scivoloni sulla neve! OH-OH-OH!»
L’uomo alla scrivania prende altri appunti, sospirando.
«E gli animalisti. Non le dico. Pretendono che io lasci liberi le mie amatissime renne. Ma dove vuole che vadano, a Bassano del Grappa – sì, niente Lapponia o Polo Nord, abito proprio lì (e chissà, se sapessero che sto in provincia di Vicenza). Ma scusi, poi chi me la traina, la slitta? Cosa faccio, monto l’impianto GPL sotto lo chassis in legno, che al primo guasto mi prende fuoco tutto? E lì altri problemi, coi verdi. No, non “quei” verdi – ho già spiegato in una lettera al partito che non sono né la reincarnazione di Carlo Marx né un immigrato. Mi pare abbiano capito, se non altro hanno smesso di scrivermi “barbùn” nei commenti del mio blog.»
Non c’è altro? La seduta di oggi è quasi terminata…
«Guardi, tra tutte le peggio cose di questa epoca delle quali non abbiamo tempo oggi di parlare, solo di una cosa supplicherei l’Italia. Nessuno vi obbliga a fare il presepe, né tantomeno ad addobbare l’albero, ci mancherebbe. Ma per piacere evitate pure di appendere quella cacata di mia copia con tanto di scaletta ai vostri balconi e alle vostre finestre. Vi scongiuro.»
Bene. Per oggi abbiamo finito.
Ah, signor Natale: quest’anno si riposi. Scelga un posto lontano e si faccia una bella vacanza, ne ha bisogno. Accetti il consiglio. Sono 250 €.
«Come ogni seduta, str*nzo…»
Come dice, prego?
«Ehm, volevo dire: “Auguri anche a lei e buone feste!” Sa, il classico lapsus…!»
Certo, come quello della volta scorsa. Auguri anche a lei.