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Cantautori a scuola, finalmente una realtà?

Da Generale a La guerra di Piero, da Il vecchio e il bambino fino a I giardini di marzo, a partire dagli anni ’90 i testi dei cantautori sono entrati sporadicamente nelle antologie scolastiche, soprattutto per elementari e medie, suscitando reazioni più o meno unanimi e contrariate da parte degli autori stessi: Fabrizio De André, tra i più gettonati nelle antologie, citando l’importantissimo filosofo liberale Benedetto Croce, affermava che «fino a 18 anni tutti scrivono poesie, dopo lo fanno solo i poeti o i cretini, per questo preferisco definirmi cantautore»; De Gregori ha ribadito molto recentemente la sua arcinota posizione: «sono sicuro che quello che faccio io, e che fanno molti altri cantautori, non è poesia, per niente».

Il Club Tenco, l’istituzione che da oltre quarant’anni si occupa di sorvegliare la produzione (e la qualità) della cosiddetta canzone d’autore, in occasione della 41esima edizione della propria rassegna, il Premio Tenco, ha intavolato nello scorso ottobre una “tre giorni” intitolata proprio Cantautori a scuola: per la prima volta operatori della musica, della scuola, artisti e istituzioni si sono riuniti per discutere seriamente dell’insegnamento della canzone d’autore nelle scuole. Già un anno fa la Regione Liguria aveva lanciato a tal proposito un progetto pilota in alcuni istituti, ma ora l’eco si è decisamente amplificato: il convegno, infatti, si è aperto con un filmato di Dario Franceschini, ministro dei Beni Culturali, e ha visto la partecipazione attiva del ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli.

Si è data voce da un lato a musicisti, musicologi e istituzioni musicali, che hanno espresso il loro enorme rammarico per il disastroso approccio che ha in Italia la didattica della musica, e dall’altro lato si è dato spazio ai cantautori, rappresentati da Roberto Vecchioni, il quale, da sempre sostenitore dell’insegnamento della canzone d’autore nelle scuole e nelle università (egli stesso tiene un corso di Forme di poesia in musica alla nostra università, e presto sarà pubblicata una sua intervista esclusiva rilasciata al nostro giornale), si è lamentato della “formazione dei formatori”. Insomma, nonostante diversi docenti di lettere utilizzino i testi delle canzoni per spiegare metriche, accenti, rime e figure retoriche, la voce uscita dal convengo è unanime: la formazione dei futuri insegnanti di canzoni deve essere diversa.

Probabilmente anche il solo insegnamento dei testi, se fatto con un criterio e un approccio adatto ai testi per musica, sarebbe già una piccola, grande conquista. Sicuramente la canzone, così facendo, sarebbe fortemente depauperata, ma d’altro canto è altresì comprovata da parecchio tempo l’utilità che i testi di canzoni svolgono a diversi livelli, per esempio nella glottodidattica dell’italiano come Lingua Seconda. Sono stati pubblicati in questa direzione tantissimi manuali per studenti stranieri, dove troviamo brani che vanno da Porta Portese di Baglioni, a Bella di Jovanotti, nei quali si spazia da riflessioni ritmiche, ad analisi grammaticali e retoriche. Manuali del genere (che frammentano il linguaggio dei testi di canzone) potrebbero venire in aiuto anche a giovani studenti italiani, cercando di colmare alcune grosse lacune che hanno dimostrato di avere nella comprensione dei testi in poesia e in prosa (sia letteraria che manualistica), come recentemente messo in evidenza da un allarmato Luca Serianni (linguista e storico della lingua italiana) all’Accademia della Crusca. D’altronde, da diversi anni ormai tantissimi insegnanti di scuola media insegnano proprio le figure retoriche alternando testi di Leopardi con quelli di Caparezza, così come ormai progetti sui cantautori sono ormai di casa anche nei Licei.

Prima però di discutere sulle particolarità dell’insegnamento, sulla necessità di un’ipotetica classe di concorso adatta, sull’appartenenza della canzone all’ambito delle discipline umanistiche o musicali, sulla creazione di un’ipotetica nuova disciplina (comprendente magari altre arti non previste dalla disciplina scolastica, come il cinema o il teatro), su quali CFU si dovrebbero prevedere nei piani di studio dei futuri docenti, il primo passo da fare è senza dubbio un altro, e il convengo sembra averlo compiuto definitivamente: serve una legittimazione del prodotto “canzone” da parte delle istituzioni culturali.

E tale legittimazione sembra essere arrivata con l’approvazione (datata 8 novembre 2017) del nuovoDecreto spettacolo”. Ai media (e ai social) l’eco di questa legge è arrivato per l’avvio del processo graduale di allontanamento degli animali dal circo, ma il decreto è molto più importante, perché per la prima volta, dal dopo-guerra ad oggi, regolarizza tutto il settore musica, teatro, danza e circo, e per la prima volta prende posizione sulla canzone d’autore, dandole l’ufficiale e attesa legittimazione culturale: «La Repubblica riconosce altresì […] b) il valore delle espressioni artistiche della canzone popolare d’autore».

La canzone è, finalmente e ufficialmente, riconosciuta dalle istituzioni culturali come espressione artistica. La palla passa quindi alle istituzioni deputate, culturali e accademiche, che sono così costrette in questo momento ad affrontare seriamente e globalmente la complessissima questione, definendo prima l’oggetto estetico canzone, poi cercando di circoscrivere il tipo di studio e il percorso più adatto per l’insegnamento. Si attendono così coordinate concrete per poter navigare nel mare magno mondo della canzone d’autore, senza aver paura di infrangersi contro scogli, o di nuotare troppo contro corrente. Qualche novità sembra essere arrivata anche su questo versante, con la recentissima pubblicazione di una proposta di canone letterario-musicale, realizzata dal critico e letterato Paolo Talanca, ma siamo appena agli inizi. Il dibattito culturale è aperto e, finalmente, ha un fine molto concreto: la formazione dei giovani e l’insegnamento.

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