Calici di pioggia
di Irene Brusa
La città che affaccia sul mare è ferita, la razionalità delle sue strade è sconfitta dal fango. Ma viva, forte del coraggio dei suoi abitanti, resiste. Con il coraggio di chi è abituato a vivere in mezzo a due elementi.
La dignità di questi cittadini richiede rispetto. Che tristezza fanno, ora, quelle casette ammucchiate di Monterosso; penso ad un’amica d’infanzia nata tra quelle mura ricche di colore, ai suoi salti dagli scogli, per sentirsi proiettile nel cobalto del mare. Quei ricordi devono poter contare.
Ora che non è possibile incolpare la pioggia, noi società moderna con responsabili e colpe. La superficialità delle amministrazioni è caduta in richieste troppo alte, nel credere efficace un lavoro ben fatto di quarant’anni fa. Muretti a secco che docilmente hanno sostenuto la terra, sono franati. E adesso, scuse: insopportabili ed offensive. È uno sfregio alla coscienza di cittadini che si mettono nelle mani dei superiori. Liguri e italiani, stufi di mangiarsi scuse ogni giorno. Fanno più rabbia dell’indifferenza e portano alla luce le grandi incompetenze nascoste.
È questa la condizione in cui siamo tutti, la pioggia cade da sempre e noi non sappiamo tenerci i piedi asciutti. I calici nei ristoranti pieni vengono svuotati e riempiti ancora, e il commensale non capisce o non vuole vedere che beve la fanghiglia piovuta dall’alto. Seduti e illusi, hanno il coraggio di guardare fuori? Direi che le scialuppe sono già state stipate. Chissà se, mentre i pochi prescelti prenderanno il largo, sentiranno il peso vergognoso di chi sta mollando. Qui si vuole capire, si vuole per una volta, qualche zero scritto su carta. Se non c’è comprensione, almeno il denaro necessario a sentirci ripagati dell’ingiustizia italiana.
Non mancava l’ombrello per ripararci. Nessuno ci aveva detto che sotto, eravamo troppi.
Vorrebbe dire qualcosa?
Più di quanto tu non possa capire.