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“Bruciare tutto”, Walter Siti: «Solo fuoco e precipitarsi nell’impossibile»

Sono passati alcuni mesi dall’uscita di Bruciare tutto, l’ultimo romanzo di Walter Siti, e la polemica che doveva seguirne non ha faticato a innescarsi. L’autore ha festeggiato il suo settantesimo compleanno condendo la settimana santa di giornalisti e critici italiani con circa trecento pagine di pedofilia e sgomento. Il suo protagonista, Leo, ha trentatré anni, parla con dio e il suo calvario editoriale inizia tre giorni prima della domenica pasquale del 2017. Più che risorgere, viene ulteriormente crocifisso in numerose testate giornalistiche: Bruciare tutto viene letto come un’abile operazione commerciale, uno scandalo gratuito, un tripudio di pregiudizi anticlericali e via dicendo. Senza nulla togliere a queste autorevoli opinioni, penso valga la pena rivedere la questione da più vicino. E sgombrare il campo da alcune premesse di natura quantomeno discutibile, prima fra tutte quella sui contenuti “permessi” in letteratura e le “condizioni” da rispettare per poterne parlare.

Bruciare tutto è, inutile negarlo, un libro su un prete pedofilo. Leo è un giovane sacerdote con un profilo religioso affine a quello del protagonista della serie The Young Pope di Sorrentino: dalla fede incrollabile, conservatore, vive la spiritualità probabilmente in maniera molto più profonda e sconvolgente di tutto il suo gregge. Ciò che lo differenzia da Lenny Belardo e che compromette il suo successo di pubblico è la sua ossessione per i bambini:

«[…] aveva notato che i corpi dei “grandi”, dei maschi adulti, gli provocavano forti reazioni di disgusto […] “non voglio diventare così, non voglio diventare come nessuno”. Nei cuginetti che facevano il bagno si riposava, erano corpi che finivano subito: non opprimevano, scivolavano via nella loro pelle riflettente e nuova […]»

Sui dettagli scabrosi preferisco soprassedere: se n’è già detto abbastanza e, se anche volete risparmiarvi le recensioni, senza troppi sforzi di fantasia potete farvene un’idea. Leo è fisicamente attratto dai bambini (età: elementari-medie), ha grotteschi sogni erotico-apocalittici su di loro e quand’era ventunenne ne ha molestato uno, Massimo. Lo ritroviamo in questa storia ormai cresciuto, ventenne romanaccio in cui i lettori di Siti riconosceranno senza difficoltà i tratti di Massimo Serenelli, che sotto vari pseudonimi è il costante deuteragonista di Walter nei romanzi di autofiction. Tuttavia questa non è l’unica tematica presente nel libro, che è ben più sfaccettato di quanto i giornali abbiano lasciato trapelare.

Nel corso del racconto, Leo lavora per la sua parrocchia in una Milano che è meta di visitatori dell’EXPO quanto di migranti. Il prete si destreggia tra doposcuola, confessionale e centri di accoglienza, offrendoci uno squarcio di quotidianità da un punto di vista inevitabilmente esposto alle più varie debolezze umane. Alcuni personaggi spiccano nel gregge: Matilde, scrittrice eccentrica e dal triste passato, Duilio, amico ed esperto di finanza. C’è Andrea, figlio undicenne di una coppia in crisi: il suo incontro con Leo segnerà un vertiginoso crescendo in una trama che non lascia spazio ad indulgenza di sorta.

Gran parte del romanzo è attraversato dal tema di Dio. Siti è ateo e Leo (il suo «inverso e contraddittorio sosia») scalpita sotto il freno di una fede che non lo abbandona mai: «se ci fosse un posto dove Dio non esiste, ci andrei di corsa a morire». Il suo rapporto con l’assoluto è totalizzante e le pagine sulla religione sono tra le più profonde e suggestive del libro. Oltre ad essere dotato di un cilicio, Leo è un lettore instancabile delle Sacre Scritture, che presenta ai fedeli e che talvolta commenta con una veemenza fuori luogo nell’occidente contemporaneo. E qui si apre l’altro polo di costante confronto: il radicalismo islamico, un ISIS dalla devozione di tutt’altra pasta

C’è un risvolto più profondo nella caratterizzazione di Leo, anche nella deviazione da cui è tormentato. Può aiutare, come chiave d’interpretazione, il passo in cui compare la frase che viene adottata anche come titolo.

«È questo il luogo, Abraham si allontana per cercare la legna: “se qualcuno salirà fin quassù, si accorgerà che le ossa non sono di un capretto ma di ragazzo… devo bruciare tutto, ossa comprese… la resina che ho portato, infiammabile all’estremo, spalmata sulle ossa completerà l’olocausto”.»

In uno dei racconti più agghiaccianti della Bibbia, quello di Abramo e Isacco, troviamo un nodo cruciale della figura di Leo, ovvero il rapporto tra padre e figlio. L’episodio è spesso nell’esegesi legato al sacrificio di figlio più famoso del testo sacro e anche, in rapporto per così dire figurale, alla trama di questo libro. Di figli simbolicamente sacrificati, sull’altare di Siti, ce ne sono molti, non da ultimo un protagonista in strenua lotta con sé stesso. Il padre manca, come manca nella vita di Leo: la mole del non detto sul suo passato incombe costantemente e man mano che la narrazione avanza comprendiamo il vuoto che lo attanaglia. Leo ricerca una figura paterna in Dio, onnipresente ma imperscrutabile, e una figliolanza perduta nei bambini, anzi, nel «bambino perfetto» delle sue fantasie. Il bilancio finale sulla sua condizione sarà sancito nelle ultime pagine, ma solo dalla sua bocca: l’autore non si pronuncia e l’onere del giudizio è lasciato al lettore.

Siti coniuga come di consueto l’abilità narrativa a quella linguistica: ne esce uno spaccato polifonico, attraversato da voci romane e milanesi, italiane e straniere, adulte e infantili e, non da ultima, dalla misteriosa voce di dio. Non per forza da acclamare, Bruciare tutto non è neanche un libro da scartare a prescindere: l’apologia alla pedofilia (praticata) non è a mio avviso scontata, ed è al massimo colpevole di scavare forse un po’ troppo a fondo nel nostro presente per non risultare scomodo.

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